Labour contro BoJo: pronti a sloggiarlo da Downing St

Il premier britannico Boris Johnson rilascia dichiarazioni a Downing Street a Londra, dopo essere stato curato dal Covid-19, nello scorso mese d'aprile.
Il premier britannico Boris Johnson rilascia dichiarazioni a Downing Street a Londra. Archivio. (ANSA/ EPA/NEIL HALL)

LONDRA.  – Un “contratto” pre-elettorale con i britannici per cementare la leadership conquistata dal Labour quasi a sorpresa nei sondaggi più recenti, ma dovuta per ora più ai presunti scandali e ai passi falsi attribuiti nell’ultimo mese al governo Tory di Boris Johnson che non a un vero incremento di consensi per la maggiore forza d’opposizione del Regno Unito.

É la promessa di Keir Starmer, numero uno dei laburisti, fatta in vista dell’obiettivo d’un voto político previsto a fine 2024 (e che tuttavia potrebbe arrivare anche prima) in un discorso programmatico d’inizio anno a Birmingham.

“Oggi voglio introdurre il mio contratto con il popolo britannico”, ha esordito Starmer con un linguaggio politico non proprio ispirato a quello delle forze progressiste tradizionali, evocando “la perdita di fiducia pubblica verso i Tories”; ma ammettendo come questo non significhi che il Labour sia destinato “ad ereditarla”. “La fiducia va guadagnata” e consolidata, ha ammesso, insistendo a rivolgersi in toni pragmatici e “centristi” all’elettorato più vasto del Paese: nella speranza di recuperare ex sostenitori scontenti del Partito Conservatore anche a costo di approfondire la rottura con la propria base militante più di sinistra, orfana del suo predecessore radicale Jeremy Corbyn. In questa chiave sir Keir si è richiamato all’idea di una leadership “responsabile”, “migliore” nelle sue parole rispetto al contestato esempio di Johnson su dossier come l’emergenza Covid.

E non senza sbandierare persino il mantra del “patriottismo” all’ombra dell’Union Jack, assieme a un atteggiamento di apertura al mondo del business o agli elogi orgogliosi verso le virtù attribuite alla nazione, a “Sua Maestà la Regina”, alla società civile dell’isola. Mentre fra le citazioni degli ex leader laburisti, la scelta cade sull’eredità di tre storici ex premier “diversi tra loro” quali Clement Attlee, Harold Wilson e Tony Blair, ma tutti capaci “di vincere alle urne”; mentre ignora deliberatamente il “perdente” Corbyn, del cui gabinetto ombra l’attuale segretario ha pure fatto parte per quasi 5 anni.

L’agenda che Starmer indica per il  2022 rispecchia questo approccio e fissa tre direttrici in chiave ecumenica: “combattere la pandemia, far funzionare la Brexit, contrastare il cambiamento climatico”. In un quadro nel quale il leader neomoderato del Labour mira a capitalizzare gli scivoloni Tory rinfacciandone la responsabilità all’intero partito di governo, non solo ai “difetti” di BoJo come “singolo individuo”.

Sebbene non senza prendere di mira in prima persona il vacillante primo ministro in carica (minacciato potenzialmente di qui a qualche mese dall’ipotetica sfida alla sua leadership d’una fronda interna del suo stesso partito a favore di ministri in ascesa come l’indo-britannico Rishi Sunak o come l’autoproclamata lady di ferro bis Liz Truss), e definirlo ancora una volta “inadatto” al ruolo di timoniere del Paese in tempi di burrasca. Fino ad arrivare a negargli già ora, con una certa baldanza nell’ipotecare il futuro, il diritto di sperare di farsi appuntare il titolo di ‘sir’ quando sarà fuori da Downing Street: ossia di ricevere l’onorificenza reale suprema del cavalierato, riservata per consuetudine ai primi ministri emeriti del Regno e concessa per ultimo dalla regina Elisabetta a scoppio ritardato pure a Blair.

Con un riconoscimento contestato da non pochi “compagni” a causa delle menzogne che condussero alla sanguinosa guerra in Iraq; ma che per Starmer – “sir” a sua volta, in forza della precedente attività di procuratore della corona – Tony ha comunque meritato ben più di Boris.

(di Alessandro Logroscino/ANSA).