Usa contro i militari birmani: “Basta armi alla giunta”

Proteste contro il colpo di Stato dei militari in Birmania.
Proteste contro il colpo di Stato dei militari in Birmania. EPA/LYNN BO BO

ROMA. – Basta armi alla giunta golpista in Birmania. Gli Stati Uniti condannano la strage di Natale, attribuita ai militari, nello Stato di Kayah, in un’area dove è radicata una minoranza cristiana: almeno 35 persone sono morte nell’attacco avvenuto il 24 dicembre, tra loro donne, bambini e due operatori dell’ong internazionale Save the Children.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha quindi lanciato un appello alla comunità internazionale a “fare di più per prevenire il ripetersi di queste atrocità in Birmania, incluso mettere fine alla vendita di armi e di tecnologia a doppio uso ai militari birmani”.

“Prendere di mira innocenti è inaccettabile”, ha tuonato il capo della diplomazia americana, chiedendo al regime di garantire la sicurezza degli operatori umanitari e l’accesso a coloro che offrono assistenza umanitaria alla popolazione. Era stata la stessa ong, all’indomani del massacro, a riferire della scomparsa di due suoi dipendenti. Oggi la conferma che i loro resti erano tra le decine di corpi trovati carbonizzati.

“I militari hanno obbligato le persone a scendere dalle loro auto, ne hanno arrestati alcuni e ucciso molti altri. Poi hanno bruciato i corpi”, ha riferito Save The Children in un comunicato, sottolineando che i due membri dello staff erano entrambi giovani padri, uno si occupava della formazione degli insegnanti, l’altro lavorava per l’ong da 6 anni. Save the Children impiega circa 900 persone in Birmania, ma ora ha deciso di sospendere le attività nello Stato di Kayah e in altre regioni del Paese.

“Siamo scioccati dalla violenza esercitata sui civili e sul nostro personale, operatori umanitari generosi, impegnati a sostenere milioni di bambini bisognosi in tutta la Birmania”, ha dichiarato la direttrice generale Inger Ashing. Il giorno dopo la strage un portavoce della giunta, Zaw Min Tun, aveva ammesso che in quell’area erano esplosi degli scontri e che i soldati avevano ucciso delle persone, ma senza fornire ulteriori dettagli.

Il Paese è in preda alle violenze dal colpo di Stato del primo febbraio scorso, quando fu defenestrata anche la storica leader Aung San Suu Kyi, poi condannata a quattro anni di carcere e ancora alla sbarra per diversi altri processi. Ogni dissenso è stato zittito nel sangue: oltre 1.300 persone sono state uccise dai militari, secondo una ong locale.

Nella maglie della repressione è finito anche il modello e attore Paing Takhon, uno dei volti più noti della Birmania, condannato a tre anni di reclusione per avere partecipato ad una protesta di massa anti golpe. Critico della giunta, e seguito da milioni di giovani sui social, era stato arrestato lo scorso aprile in un raid all’alba nella sua casa compiuto da 50 soldati arrivati a bordo di otto camion. Ora, secondo il suo legale, dovrà scontare la sua pena ai lavori forzati.

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