Massacri in Birmania: almeno 40 morti nelle fosse comuni

Soldati a Yangon City.
Soldati a Yangon City. (ANSA)

BANGKOK.  – Picchiati e mutilati per ore prima di morire, e poi gettati in fosse comuni: almeno 40 civili birmani sono stati uccisi lo scorso luglio dall’esercito in almeno quattro raid in un distretto nord-occidentale del Paese, dove la resistenza armata della popolazione alla giunta militare è particolarmente attiva. Prove audiovisive inconfutabili sono state raccolte da un’inchiesta della Bbc e pubblicate oggi, due settimane dopo il ritrovamento di altri 11 corpi carbonizzati in un’area non lontana.

A quasi un anno dal colpo di stato che ha deposto il governo di Aung San Suu Kyi, tali massacri confermano come l’esercito continui a reprimere nel sangue le aspirazioni democratiche della popolazione.

Le stragi documentate dalla Bbc sono avvenute nella municipalità di Kani, un’area rurale nel distretto di Sagaing, dove in particolare tra maggio e agosto le “Forze di difesa del popolo” emerse in opposizione al golpe del primo febbraio hanno imbracciato le armi contro l’esercito. Nel villaggio di Yin, almeno 14 uomini sono stati uccisi dopo sevizie con pietre e calci di fucile durate per ore, mentre le donne – separate in precedenza dai militari – piangevano terrorizzate. Nel vicino villaggio di Zee Bin Dwin sono state ritrovate fosse comuni con 12 corpi mutilati, incluso quello di un minorenne e di un disabile.

L’inchiesta della Bbc ha raccolto testimonianze di 11 sopravvissuti, incrociandole con filmati ripresi con telefonini e verificati dalla organizzazione per i diritti umani Myanmar Witness. Ma per quanto i fatti risalgano all’estate, è probabile che altri episodi simili siano avvenuti anche nei mesi successivi nelle vaste campagne birmane. Lo scorso 7 dicembre, sempre nella regione di Sagaing, sono stati ritrovati 11 corpi carbonizzati, tra cui quelli di cinque minori. La strage, assieme ad altre uccisioni in proteste pacifiche a Yangon, ha spinto l’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu a dirsi “sgomento davanti all’allarmante escalation di gravi abusi dei diritti umani” in Birmania; violenze in linea con innumerevoli abusi compiuti per decenni dai militari contro svariate milizie etniche attive nel Paese, ma che ora colpiscono anche civil della maggioranza Bamar che si oppongono al golpe.

Purtroppo niente fa pensare a un prossimo calo delle violenze. La giunta di Aung Ming Hlaing, dopo aver preso il potere citando gravi irregolarità nelle elezioni che avevano confermato al potere il partito di Suu Kyi, ha utilizzato il pugno di ferro contro le richieste della popolazione, causando almeno 1.300 morti. Le iniziali repressioni di manifestazioni pacifiche nelle grandi città sono diventate poi operazioni militari e rappresaglie anche nelle campagne, mentre il dissenso si è organizzato per la lotta armata.

E due settimane fa, la condanna di Suu Kyi a quattro anni di reclusione – con altri processi in arrivo – ha confermato come l’esercito non stia contemplando compromessi.

(di Alessandro Ursic/ANSA).

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