Rsf lancia l’allarme: è record di giornalisti in carcere

In immagine d'archivio, un momento della manifestazione No Bavaglio dei Giornalisti liguri. ANSA/LUCA ZENNARO

ROMA.  – Il numero di giornalisti che è in prigione per motivi legati alla professione non è mai stato così alto, almeno da quando la ong Reporters Sans Frontieres pubblica il suo rapporto annuale, ovvero dal 1995. Si tratta di 488 professionisti dei media in carcere nel mondo, con un incremento quest’anno del 20 per cento sul 2020. Migliora però il bilancio dei reporter uccisi: 46 nell’intero 2021, il numero più basso dall’inizio delle rilevazioni.

L’aumento delle detenzioni negli ultimi 12 mesi si attribuisce soprattutto alla repressione sui media in Birmania, Bielorussia e Hong Kong. In particolare in Birmania in seguito al colpo di Stato dello scorso primo febbraio con la presa di potere da parte della giunta militare. In Bielorussia d’altro canto si è assistito al pugno di ferro delle autorità verso i media nell’ondata di proteste seguita alla contestata rielezione del presidente Alexander Lukashenko nell’agosto del 2020.

Quindi Pechino che ha stretto la morsa sui media ad Hong Kong. Ed è proprio la Cina a mantenere il primato per numero di detenzioni – per il quinto anno consecutivo – con un totale di 127 reporter in carcere, seguita dalla Birmania (53), il Vietnam (43), la Bielorussia (32) e l’Arabia Saudita (31).

Mai come prima inoltre il numero delle giornaliste nelle carceri, con un totale di 60 le donne reporter sono un terzo in più rispetto al 2020. Tra queste 19 sono in Cina, compresa  Zhang Zhan, cui è stato attribuito il riconoscimento “Press Freedom” di Rsf per il 2021 e che al momento è gravemente malata.

D’altro canto il numero in calo di morti fra i giornalisti che invece aveva visto un picco nel 2016, riflette i cambiamenti nelle dinamiche in Siria, Iraq e Yemen, dove un ridimensionamento dei conflitti ha portato un numero inferire di media nell’area.

La gran parte dei giornalisti uccisi negli ultimi 12 mesi sono stati assassinati e, ancora una volta, i Paesi considerati più pericolosi sono Messico e Afghanistan, poi Yemen e India.

Una strage continua, una scia di sangue, delitti veri e propri che spesso rimangono senza colpevole. Ma una nuova iniziativa, una sorta di ‘tribunale del popolo’ cui si è dato vita il mese scorso all’Aja, potrebbe portare l’attenzione su casi dove troppo spesso cala il buio. Creato da una coalizione di organizzazioni impegnane nella difesa della libertà di stampa, questo “tribunale” si occuperà, per i prossimi sei mesi, di tre casi in particolare rimasti irrisolti di giornalisti assassinati in Messico, Sri lanka e Siria. Non avrà la facoltà legale di emettere sentenze o condanne, però l’auspicio è che con la raccolta di prove e testimonianze si possano scuotere coscienze e soprattutto fare pressione su governi e istituzioni affinché si adoperino per fare luce su questi emblematici casi.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA).

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