Blitz contro la nuova Mala del Brenta, 39 arresti

Un fermo immagine tratto da un video dei carabinieri dei ROS.
Un fermo immagine tratto da un video dei carabinieri dei ROS. ANSA/CARABINIERI

VENEZIA. – Tornano in carcere a 70 anni suonati alcuni elementi “storici” della Banda Maniero, di quella Mala del Brenta che imperversava a Venezia e in Veneto 40 anni fa, poi smantellata dal pentimento del suo ‘boss’. Usciti dal carcere dopo aver scontato le condanne degli anni ’90, hanno cercato di tornare a fare il vecchio “mestiere”, quello dello spaccio di droga, delle estorsioni agli operatori turistici, delle intimidazioni.

Ma stavolta ad aspettarli c’erano gli investigatori, che li hanno seguiti negli ultimi 5-6 anni e alla fine hanno stroncato il loro tentativo. Il blitz dei Carabinieri del Ros è andato a segno nella notte con l’esecuzione, a Venezia e in Veneto, di 39 arresti e avvisi di garanzia a un’ottantina di persone. Nel mirino il gruppo ‘mestrini’ della Mala, quello che aveva in appalto il traffico di droga assieme alle estorsioni in città e terraferma, e che si era reso anche responsabile di una delle più efferate esecuzioni ‘interne’ alla banda, quella dei fratelli Rizzi e Franco Padoan, uccisi il 10 marzo 1990 sull’argine del fiume Brenta a Galta di Vigonovo (Padova).

I nomi ‘storici’ sono quelli di Gilberto Boatto detto “Lolli”, Paolo Pattarello, Gino Causin, più altri luogotenenti come Loris Trabujo, sospettato delle estorsioni ai motoscafisti veneziani. Ma tra gli indagati spunta anche Antonio “Mario” Pandolfo, braccio destro e armato di Maniero. Attorno a loro, a partire dal 2015, un gruppo che si è infilato in uno spazio lasciato libero dalle ‘altre mafie’ che da tempo agiscono in Veneto: la ‘ndrangheta, la camorra, la mafia nigeriana. Una convivenza che il procuratore Antimafia di Venezia, Bruno Cherchi, ha definito “pacifica”, dove ognuno si ritaglia il proprio mercato senza disturbare gli altri.

“Sono un po’ invecchiati, è vero – ha commentato il magistrato – ma è vero anche che sono sempre molto pericolosi, con una grande capacità di aggregazione, e una volta usciti dal carcere, di riprendere i rapporti, soprattutto di spaccio e di approvvigionamento di sostanza stupefacente dai paesi sudamericani, e l’attività delittuosa nei confronti dell’ambiente veneziano”.

A conferma della loro pericolosità anche il ritrovamento di armi, anche da guerra, tra cui mitra kalashnikov. Una circostanza che ha fatto anche sospettare che il gruppo avesse in mente di uccidere il boss pentito Felice Maniero. Ma Cherchi ha smentito, ricordando che “Maniero è detenuto, e quindi c’è una difficoltà obiettiva. Che Maniero, e coloro che hanno collaborato, non fossero particolarmente ‘amati’ è vero, ma non abbiamo elementi concreti per dire che l’obiettivo del gruppo fosse quello. Si occupavano più di business che di ‘riparare’ vecchie ruggini della mala”.

Altro elemento di novità la presenza operativa di donne: “Poiché una volta – ha commentato Cherchi – l’attività era di aggressione, rapine e omicidi, era in genere operata dagli uomini del gruppo. Abbiamo notato invece elementi puntuali in relazione all’impiego di donne, soprattutto per quanto riguarda il riciclaggio e l’intestazione fittizia di beni che provengono dalle attività criminose”.

(di Andrea Buoso/ANSA)