Etiopia nel caos, i ribelli alle porte di Addis Abeba

Pattuglie di polizia sorvegliano le srtade di Addis Abeba. EPA/STR

IL CAIRO. – La guerra interetnica scoppiata esattamente un anno fa nell’Etiopia del primo ministro – e paradossalmente premio Nobel per la pace 2019 – Abiy Ahmed ha avuto una drammatica svolta: i minoritari ribelli tigrini alleatisi con quelli oromo della maggiore etnia del Paese sono ormai lanciati alla conquista della capitale, Addis Abeba, facendo scattare lo stato di emergenza tra le denunce dell’Onu sugli orrori perpetrati da entrambi le parti.

I ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrè  (Tplf), che da nord combattono per la riconquista di un ruolo chiave giocato durante un quarto di secolo in Etiopia e perduto con l’avvento di Abiy, sono “attualmente alla periferia della capitale”, segnala la Cnn citando fonti diplomatiche regionali.

Del resto lo scorso fine settimana il Tplf aveva annunciato la presa di Dessie e Kombolcha, città situate su uno snodo stradale strategico circa 400 chilometri a nord di Addis Abeba.

Su un altro fronte, l’Esercito di liberazione degli Oromo ha proclamato di aver preso località più a sud, lungo l’autostrada che porta alla capitale.

“Se le cose continuano così, la presa di Addis Abeba è questione di mesi, se non di settimane”, ha sostenuto il portavoce dell’Ola, Odaa Tarbii, dando per “scontata” la caduta di Abiy. Ad essere travolto sarebbe anche il tentativo del 45enne premier di riformare il Paese gestendo al contempo le tensioni fra le oltre 90 etnie in cui spiccano – accanto ad Amhara, Somali e Afar – appunto gli Oromo e Tigrini (questi ultimi sono circa 6 milioni dei 110 milioni di etiopi). Non a caso Abiy, egli stesso oromo per parte di padre, ha accusato l’alleanza ribelle di voler “distruggere il Paese” e trasformare l’Etiopia in una Libia o Siria.

Il governo ufficialmente nega che ci sia un’avanzata dei ribelli ma martedì ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Paese e le autorità di Addis Abeba hanno chiesto ai cittadini di organizzarsi per difendere la città. Le comunicazioni sono interrotte in gran parte dell’Etiopia settentrionale e l’accesso ai media vietato, rendendo difficile tracciare le linee dei due fronti.

In un rapporto Onu relativo ai primi otto mesi del conflitto, la guerra nel Tigrè è stata caratterizzata da violenze che “possono costituire crimini di guerra” e “contro l’umanità”. Il dossier appena pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani assieme a una commissione etíope denuncia esecuzioni extragiudiziali, torture, rapimenti, violenze sessuali compresi stupri di gruppo di donne e uomini, oltre a saccheggi: fra gli esempi dell’estrema brutalità di questa guerra iniziata il 4 novembre dell’anno scorso c’è l’uccisione, a settembre, di 47 civili a Chenna, un villaggio di etnia amhara controllato dal Tplf.

Abiy aveva frettolosamente proclamato una vittoria il 28 novembre dell’anno scorso ma a giugno i Tplf avevano conquistato la maggior parte della loro regione, costringendo il governo a dichiarare un cessate il fuoco unilaterale. L’escalation degli ultimi giorni preoccupa la comunità internazionale e l’inviato Usa per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, andrà in Etiopia nelle prossime ore fino a venerdì per chiedere una soluzione pacifica del conflitto.

(di Rodolfo Calò/ANSA).

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