Storia di Molly, ciclista trans che batte Evenepoel

Molly Cameron. (ANSA)

ROMA.  – Prima molestata dalle donne contro cui correva, poi estromessa anche dalle gare maschili e, infine, accettata. Quella di Molly Cameron è una storia di lotta e fatica, non solo sui pedali.  Sin dal giorno in cui, nato uomo, ha deciso di mettere la croce sulla casella “she” nella richiesta di “patentino” per correre nel ciclismo.

Ora la vittoria su corridori del calibro di Remco Evenepoel e Mattia Cattaneo, nella Belgian Waffle Ride, gara di ciclocross disputata in Kansas, riaccende i riflettori sulla sua storia. E sulla questione transgender nello sport.

Un tema sul quale lo stesso Comitato olimpico internazionale fatica a trovare una sintesi, tanto che la pubblicazione delle nuove linee guida in materia è attesa non prima delle Olimpiadi invernali di Pechino: tre anni dopo il previsto.

A Tokyo la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard era salita alla ribalta – pur senza ottenere medaglie – come prima atleta transgender a competere ai Giochi, risultato raggiunto dopo aver abbassato i suoi livelli di testosterone sotto la soglia richiesta dal Cio. La vicenda della statunitense 45enne è, se possibile, più complessa.

Atleta, attivista, gestisce un negozio di biciclette e un team (il pro Point S Auto-Nokian Tyre Cameron). Molly si sente donna, appare fisicamente come un uomo e ha una fidanzata (“diventeremo mogli”, ha scritto su Instagram tre mesi fa).

All’inizio della sua carriera, nei primi anni duemila, aveva corso nelle categorie femminili, dopo aver assunto estrogeni. Le lamentele delle colleghe erano arrivate con le prime vittorie.

“Ad una gara un’anziana mi aveva urlato: ‘Non sei una donna!’. Poi mi erano arrivate e-mail piene di cattiveria e avevo perso alcune amicizie”, aveva ricostruito anni dopo Molly in un colloquio con un giornale locale.

Al termine di un lungo dibattito, la federazione ciclistica dell’Oregon aveva deciso: un atleta maschio avrebbe potuto gareggiare con le donne solo dopo aver cambiato sesso. Una scelta che Cameron non voleva però fare solo se dettata dalle nuove regole. Così è nata l’idea del passaggio tra gli uomini.

L’aver barrato anni prima la casella “femmina” sulla sua patente di guida le è costata però un’altra odissea: la sua licenza di ciclismo dice lo stesso e così la federazione ciclistica statunitense (l’Usac) aveva deciso, a un certo punto, di non ammettere più trasgressioni alle regole.

Se nel 2013 Cameron si era classificata seconda nella categoria maschile 30-39 anni ai campionati cross nazionali, a fine 2015 non aveva in un primo momento potuto registrarsi a quelli in Carolina del Nord. E pensare che era stata lei stessa a sollecitare l’Usac a reinquadrarla come donna, dopo che la federazione, autonomamente, aveva deciso di indicarla come uomo.

Poi, per sua fortuna, l’Usac è tornata sui suoi passi e Molly ha continuato a collezionare una serie di ottimi risultati, sino al primo posto in Kansas dell’altro giorno.

Al termine della gara di 111 chilometri “alcuni talenti del tour mondiale”, in un periodo lontano dal culmine della loro stagione agonistica, hanno tentato un “inseguimento svogliato”, riconosce Cameron, spiegando l’origine della sua vittoria davanti agli atleti del team Deceuninck-Quick Step, che erano all’esordio nel gravel, una disciplina del ciclocross.

Nella gara più corta, quella da 58 km, un certo Valtteri Bottas ha chiuso in nona posizione. Proprio il pilota della Mercedes, insieme alla sua compagna, la ciclista australiana Tiffany Cromwell, in Kansas ha sposato la causa di Molly, indossando i polsini della sua organizzazione, la Ride (Riders inspiring diversity and equality).

Il gruppo che vuole affermare i diritti delle persone Lgbtq+ nello sport, la scorsa primavera ha guidato la protesta contro la legge dell’Arkansas che proibisce alle persone trans con meno di 18 anni di gareggiare nelle categorie femminili. Insomma, la battaglia di Cameron prosegue, non solo sugli sterrati del ciclocross.