Taiwan: la minaccia cinese cresce, Usa ci difenderanno

La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen (C) in una recente foto
La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen (C) in una recente foto. (Wang Yu Ching/Ufficio stampa Presidenza Taiwan).

PECHINO.  – In pochi minuti di intervista alla Cnn, la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen centra molteplici obiettivi: denuncia la minaccia dalla Cina che aumenta “ogni giorno”, conferma per la prima volta la presenza delle truppe americane sull’isola ed esprime “fiducia” sul fatto che gli Stati Uniti interverranno in difesa di Taipei se verrà attaccata.

Con toni pacati e in perfetto inglese, ripresa anche quando incontra comuni cittadini durante una visita a un tempio, Tsai ostenta quella normalità che le permette di dire con naturaleza di essere aperta a un “confronto” con la Cina e con il presidente Xi Jinping, pur nel rispetto delle “differenze”: una contraddizione in termini e, vista da Pechino, una disponibilità che vale come un insulto. Perché i piani cinesi sulla provincia  ribelle sono ben chiari e noti.

“Il compito storico della riunificazione della madrepatria deve essere adempiuto e lo sarà sicuramente. Qualsiasi tentativo di ostacolare la riunificazione nazionale e il rinnovamento nazionale è destinato a fallire”, ha tuonato il portavoce del ministero della Difesa Tan Kefei, lanciando poi un monito: “Se gli Stati Uniti continueranno ad aggrapparsi ostinatamente all’illusione di usare Taiwan per controllare la Cina e tenteranno di migliorare i legami militari con Taiwan, la Cina si opporrà risolutamente e contrattaccherà”.

E l’Esercito popolare di liberazione “adotterà tutte le misure necessarie contro le interferenze esterne e gli atti di separatismo a difesa della sua sovranità nazionale e integrità territoriale”. “Ci opponiamo con fermezza a ogni forma di scambio ufficiale e di contatto militare fra Usa e Taiwan”, ha rincarato Wang Wenbin, del ministero degli Esteri.

Stati Uniti e Cina sono impegnati in una “competizione strategica”, ha detto più volte il presidente Joe Biden, con Taiwan emersa come punto focale. La visione nell’amministrazione Usa è che la Cina rappresenti un serio problema economico, politico e tecnologico per gli interessi americani, ma potrebbe essersi arricchita adesso anche della minaccia militare diretta.

Il missile ipersonico testato da Pechino ad agosto è stato definito un “momento Sputnik”, dal generale Mark Milley, capo di stato maggiore, paragonando il supervettore (che Pechino ha derubricato a lancio di verifica della tecnología riutilizzabile) con un punto chiave della Guerra Fredda: il campanello d’allarme di quando l’Urss mandò in orbita lo Sputnik nella gara per la conquista dello spazio.

La posta in gioco si è alzata con l’appello di martedì del segretario di Stato Antony Blinken ai Paesi membri dell’Onu per sostenere la “robusta e significativa partecipazione di Taiwan nel sistema delle Nazioni Unite”, sollevando ai massimi livelli la questione dell’isola che la stessa Tsai ha posizionato “sulla prima linea della democrazia”.

La perdita di Taipei vorrebbe dire l’uscita dall’Asia e un forte ridimensionamento globale degli Usa. “Siamo vicini al ‘Carthago delenda est’ americano verso Pechino”, ha notato con l’ANSA una fonte diplomatica nella capitale cinese, citando l’appello di Catone il Censore per la Terza guerra punica e la distruzione di Cartagine. Agli Usa piace spesso specchiarsi nella potenza dell’Impero Romano.

La Cina, sempre più irritata per le ultime vicende e per l’attivismo di Taiwan soprattutto in Europa contro l’isolamento, è difficile possa prendere iniziative nell’immediato. Sempre che non siano superate linee rosse, come una dichiarazione d’indipendenza dell’isola. Con tali premesse e in mancanza di un accordo tra Usa e Cina, uno scontro militare assumerebbe contorni terribilmente più nitidi.

(di Antonio Fatiguso/ANSA).

Lascia un commento