Allarme Taiwan: “La Cina potrebbe invaderci nel 2025”

Il presidente cinese Xi Jinping pronuncia un discorso nel comitè centrale del partito comunista
Il presidente cinese Xi Jinping, EPA/XINHUA/JU PENG

PECHINO.  – L’allarme a Taiwan è ai massimi livelli. “Se la Cina volesse attaccarci ora, sarebbe già in grado di farlo. Però, continuando ad aumentare il suo potenziale, entro il 2025 avrà ridotto i costi e le perdite al livello più basso possibile e sarà capace di organizzare un’invasione su vasta scala”.

Il ministro della Difesa dell’isola Chiu Kuo-cheng, un generale prima di ricoprire l’incarico, ha tracciato uno scenario da incubo nell’audizione parlamentare sul budget da 8,6 miliardi di dollari per missili anti-nave e nuove unità navali, ammettendo di non essersi mai “trovato in una situazione così pericolosa” in 40 anni di esperienza militare.

Pechino ha aumentato la sua assertività inviando a inizio ottobre, per quattro giorni di fila, quasi 150 caccia da guerra nella zona di identificazione di difesa aerea di Taiwan, a segnalare la crescente impazienza contro la provincia ribelle destinata alla riunificazione anche con la forza, se necessario.

Partite nel giorno della fondazione della Repubblica popolare, le incursioni hanno toccato il 4 ottobre un record di 56 unità, comprensive di bombardieri con capacità nucleare.

Il vero brivido a Taipei, tuttavia, lo ha provocato il presidente Joe Biden, al cui Paese l’isola affida la sua sopravvivenza. “Ho parlato con Xi (l’ultima telefonata è del 9 settembre, ndr), ci atterremo all’accordo su Taiwan”, ha detto Biden. La Casa Bianca ha chiarito che il presidente si riferiva alla politica Usa in atto da quando Washington trasferì il riconoscimento diplomatico da Taipei a Pechino, nel 1979.

Gli Stati Uniti hanno una “politica dell’Unica Cina” (come l’Ue), riconoscendo in via ufficiale Pechino sulla base di tre comunicati congiunti, sei assicurazioni e del Taiwan Relations Act, che obbliga Washington a fornire a Taipei le attrezzature militari di difesa in un rapporto non ufficiale e non diplomatico.

La Cina valuta le dichiarazioni – che non sono accordi – puntando a imporre il “principio dell’Unica Cina”, che vuole Taiwan come provincia cinese. Non c’è colloquio di alto livello con gli Usa in cui la leadership comunista non ne chieda l’adesione, considerandola la linea rossa invalicabile. Del resto, Xi ha definito “non rinviabile per molto tempo ancora la riunificazione”.

Ma lo scontro Usa-Cina è davvero inevitabile? Ribaltando la lettura della cosiddetta ‘trappola di Tucidide’ – lo scontro tra una potenza emergente (Atene) e una consolidata che si sente minacciata (Sparta), rilanciata dal politologo di Harvard Graham Allison – Hal Brands della Johns Hopkins University e Michael Beckley della Tufts University hanno osservato che il “problema è il potere calante” di Pechino: il crollo demografico, la trappola della classe media, la stretta voluta da Xi su settori chiave come l’hi-tech sono segnali di una spinta propulsiva scarica.

Negli sforzi per sfruttare le “finestre disponibili”, la cosa “più preoccupante di tutte è che la Cina sarà fortemente tentata di usare la forza per risolvere la questione di Taiwan alle sue condizioni nel prossimo decennio prima che Washington e Taipei possano finire di riorganizzare le loro forze armate per offrire una difesa più forte”, hanno scritto gli autori su Foreign Policy.

Puntando anche ad anticipare la saldatura della cintura di contenimento tra Quad (Usa, India, Giappone e Australia), Aukus, (il patto di Australia, Uk e Usa) e Giappone, che il 3 ottobre ha fatto atterrare per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale un caccia (F35B) su una sua nave, la portaelicotteri Js Izumo prossima a diventare portaerei con la gemella Js Kaga.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, intanto, ha accusato la Cina di azioni “provocatorie” e “destabilizzanti” contro Taiwan, proprio nell’imminenza dei colloqui di Zurigo tra il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista YangJiechi.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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