Nel 2030 per malattie del cuore 24 milioni di vittime nel mondo

29 settembre, Giornata Mondiale del Cuore.
29 settembre, Giornata Mondiale del Cuore.

ROMA. – Dopo un calo della mortalità negli ultimi decenni, i numeri delle malattie cardiovascolari sono di nuovo in aumento, invertendo anni di progresso sia sul fronte delle cardiopatie ischemiche sia su quello delle malattie cerebrovascolari. E le previsioni sono allarmanti: i decessi per cause cardiovascolari, oggi 18 milioni l’anno, raggiungeranno nel 2030 i 24 milioni, circa 66.000 al giorno. È come se ogni giorno scomparisse una città come Massa o Trapani. Un aumento da oggi al 2030 pari al 34%.

Ora più che mai la prevenzione cardiovascolare è fondamentale, anche per recuperare il ritardo legato alle mancate prestazioni per la pandemia. A fare il punto, nella giornata mondiale del cuore, è stato un digital talk su Ansa, organizzato da Novartis Italia e patrocinato da Health City Institute.

Un dato che preoccupa gli esperti è che in questo anno e mezzo la pandemia ha ridotto le prestazioni ai pazienti, l’attività diagnostica preventiva e fatto aumentare la mortalità. Si è assistito a una riduzione tra il 50 e l’85% dell’attività chirurgica, del 55% degli interventi di cardiochirurgia, del 75% degli elettrocardiogrammi trans esofagei e delle diagnostiche per cardiopatia ischemica, del 10% di nuove diagnosi di scompenso cardiaco e a un aumento del 20% della mortalità cardiovascolare e di quella in generale.

La priorità è ripensare le strategie di contrasto a queste patologie nel post-Covid,considerando il territorio attuatore di politiche sanitarie efficaci. “La pandemia – ha evidenziato Massimo Volpe, presidente della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare-ha avuto una serie di effetti importanti. Anche persone con infarto non si sono recate in ospedale, senza contare chi ha una malattia cronica come l’ipertensione o lo scompenso cardiaco.

I dati sono stati ancora più drammatici. Il ministro Speranza ha spiegato che serviranno investimenti importanti di tempo e risorse per recuperare. Questo recupero non è un fatto ‘cosmetico’, perché avere più fattori di rischio potrà significare nel prossimi 5-10 anni un numero di infarti, scompenso e ospedalizzazioni molto più alto.È un recupero che ha il carattere di un’urgenza”.

Da dove partire? Ad esempio dalle città e aree urbane: si stima che nel 2050 la percentuale di persone che abiterà nelle città arriverà al 74%. L’Oms stima poi che il 63% della mortalità globale sia dovuta a malattie non trasmissibili, e buona parte di questi decessi è attribuibile a rischi legati all’urbanizzazione e alla sedentarietà.

“Il ruolo delle città – ha sottolineato Andrea Lenzi, presidente Urban Health City Institute – nella promozione della salute sarà fondamentale nei prossimi decenni e la lotta alle malattie cardiovascolari rappresenta un’opportunità per promuovere la creazione di una rete di collaborazione tra soggetti diversi e lo sviluppo di programmi di prevenzione e gestione della cronicità che tengano conto del controllo di fattori come l’ipertensione e l’ipercolesterolemia, dell’assistenza sanitaria, dell’innovazione”.

Occorre investire poi nella teleassistenza e il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, offre spunti importanti. “Il Pnrr- ha concluso Pasquale Perrone Filardi, presidente eletto della Società Italiana di Cardiologia- alloca risorse non trascurabili sul potenziamento della telemedicina e prevede sul territorio delle strutture intermedie di salute, le case di comunità e gli ospedali di prossimità. Tutto questo speriamo si possa realizzare, c’è un cronoprogramma che va fino al 2026”.

(Di Elida Sergi/ANSA)