“La Russia responsabile dell’assassinio di Litvinenko”

Alexander Litvinenko all'ospedale, in un immagine d'archivio.

MOSCA. – Era il 2006. Anna Politkovskaya, giornalista scomoda di Novaya Gazeta, era stata da poco freddata sotto casa. Il 7 ottobre (compleanno di Vladimir Putin). Pochi giorni dopo, al Frontline Club di Londra, Alexander Litvinenko, ancora sconosciuto ai più, interviene alla tavola rotonda organizzata dal circolo dei reporter duri e puri della capitale britannica, accusando il Cremlino di essere dietro all’assassinio.

Passa un niente e a morire è lui, stroncato da una dose di polonio: le indagini rivelano che mezza Londra è stata contaminata da quella sostanza misteriosa. Gli inquirenti britannici puntano il dito contro Mosca. E oggi, dopo quasi 15 anni, lo ribadisce la Corte europea dei diritti umani (Cedu).

Ad aver interpellato i giudici di Strasburgo è stata la vedova di Alexander, Marina. Secondo la Corte “esiste il forte sospetto che Andrei Lugovoy e Dmitry Kovtun, gli uomini che hanno avvelenato Litvinenko, abbiano agito in qualità di agenti del governo russo”. La Corte sottolinea a tale proposito che “il governo russo non ha fornito alcuna altra spiegazione soddisfacente e convincente degli eventi o capace d’invalidare i risultati dell’inchiesta condotta dal Regno Unito”.

Nel condannare la Russia – anche per non aver condotto un’inchiesta sul suo territorio in grado di far luce sui fatti e per non aver collaborato con Strasburgo durante la procedura – la Corte ha stabilito che Mosca dovrà versare 100 mila euro per danni morali alla moglie di Litvinenko e altri 22 mila e 500 per le spese legali.

A Mosca naturalmente si è alzato un vero e proprio fuoco di sbarramento contro la sentenza. Il Cremlino la giudica “infondata”. “È improbabile che la Corte di Strasburgo abbia l’autorità o le capacità tecnologiche per avere informazioni sulla questione”, ha commentato il portavoce di Putin Dmitry Peskov. Per il ministero degli Esteri la sentenza stessa solleva “molte domande” e il suo obiettivo non è altro che propagare “la russofobia”. Lugovoy, che da anni è diventato deputato alla Duma, l’ha liquidata come “un’idiozia politicamente motivata”.

Bene. Ma il pacchetto spie non finisce qui. A rimarcare la dose è sempre Londra, che nello stesso giorno della sentenza di Strasburgo ha deciso di rivangare un altro caso di altissimo profilo, quello legato al tentativo di avvelenamento dell’ex spia Serghei Skripal e su figlia Yulia, compiuto nel 2018 a Salisbury. Ma questa volta l’attacco andò male.

La polizia britannica ha formalizzato ora le accuse anche contro un terzo cittadino russo, Denis Sergeev (alias Serghiei Fedotov), oltre ai due presunti autori materiali indicati a suo tempo; si tratterebbe di una sorta di coordinatore dell’operazione, identificato come un ufficiale dell’intelligence militare (Gru) e già citato in inchieste giornalistiche nel passato.

Il premier Boris Johnson ha sollecitato la Russia a consegnare alla giustizia britannica i tre cittadini russi, ricordando “il prezzo alto” già pagato da Mosca in termini diplomatici e di sanzioni per questa vicenda. Ma è una richiesta retorica.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)