Evergrande: Cina a un passo dalla sua Lehman Brothers

PECHINO.  – La crisi di Evergrande è a un passo dal diventare la “Lehman Brothers ciñese” con un effetto domino sull’intero sistema finanziario del Dragone, tra mercati obbligazionario e immobiliare, e l’economia più in generale, in un settembre caldo che rimanda al tracollo del 15 settembre della banca d’investimenti Usa, all’origine della crisi finanziaria globale del 2008.

Lo sviluppatore immobiliare più indebitato al mondo, con 305 miliardi di dollari su 70 miliardi di fatturato, è crollato del 19% alla Borsa di Hong Kong (-3,30% con il Property Index a -6,69%) fino a testare i minimi storici e a chiudere a -10,24%, nel giorno in cui la compagnia non ha ripagato imprecisati interessi su prestiti bancari, come segnalato la scorsa settimana dal governo.

Mentre l’attenzione è sugli 83,5 milioni di dollari di interessi dovuti il 23 settembre per i bond con scadenza marzo 2022 e i 47,5 milioni di interessi in scadenza il 29 settembre per l’emissione marzo 2024, i settori bancario e immobiliare hanno mostrato segnali di forte tensione.

Nel mistero sulla reale esposizione degli istituti di credito, i 4 grandi colossi pubblici cinesi hanno ceduto terreno (Abc a -4,09%,  Icbc a – 3%, Bank of China a -2,53% e China Construction Bank a -4,07%), mentre tra i gruppi immobliari Vanke China è andata giù dell’1,60%, R&F Properties del 7,34%, Fantasia del 7,27% e Shimao Group del 5,15%.

Sinic Holdings Group, basato a Shanghai, ha bloccato gli scambi sui suoi titoli dopo il tracollo dell’87%, con impennata di vendite nel primo pomeriggio tra volumi per circa 14 volte quelli medi del 2020.

Evergrande deve soldi a più di 128 banche e circa 121 istituzioni non bancarie, secondo una lettera inviata al governo di Pechino a fine 2020, senza contare le migliaia di dipendenti e creditori infuriati a circondare il quartier generale di Shenzhen e gli appaltatori non pagati a sfogare la rabbia nei cantieri.

La domanda per investitori e autorità cinesi è se il problema comincerà ad autoalimentarsi o se si potrà evitare il contagio: il settore immobiliare è stato per anni la spina dorsale della crescita di Pechino, grazie alla generosa leva del debito. Gli investimenti hanno rappresentato in media il 13,5% del Pil negli ultimi cinque anni, secondo le stime di Fitch, tre volte il livello dell’economia Usa.

Il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato la campagna per moderare la corsa al real estate ripetendo il mantra che “la casa è per vivere, non per la speculazione”. A tale scopo, sono state introdotte le “tre linee rosse” a carico degli sviluppatori: un tetto del 70% sulle passività per le attività, un limite del 100% sul debito netto per il patrimonio netto e liquidità per coprire l’indebitamento a breve termine.

Tuttavia, i prestiti in sofferenza del settore immobiliare sono aumentati del 30% nelle cinque maggiori banche a 97 miliardi di yuan (15 miliardi di dollari) nei primi sei mesi dell’anno e le società immobiliari hanno rappresentato circa il 30% delle inadempienze obbligazionarie del primo semestre.

Un test di tenuta sistemica della Banca centrale ciñese (Pboc) pubblicato a inizio settembre ha indicato che se il tasso di crediti inesigibili sui prestiti per lo sviluppo immobiliare dovesse aumentare del 15% e quello per i mutui del 10%, il coefficiente di adeguatezza patrimoniale medio delle 4.015 banche valutate scenderebbe “solo” dal 14,4% al 12,3%, ancora sopra il minimo regolamentare compreso tra il 10,5% e l’11,5%.

In sistema, in altri termini, potrebbe reggere, ma un default del settore immobiliare riserverebbe comunque una conseguenza pesantissima: la perdita della fiducia dei consumatori.

L’economia cinese ha segnato il passo ad agosto con la stretta antipandemica e i freni ai prestiti immobiliari: le vendite al dettaglio sono salite di un magro 2,5% e le vendite di case in valore sono crollate del 20%. Quanto basta per allarmare la leadership cominista, ma non ancora al punto di intervenire.

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