La Norvegia vira a sinistra ma non abbandona il petrolio

Piattaforma petrolifera in Norvegia.
Piattaforma petrolifera in Norvegia. (Photographer: Kristian Helgesen/Bloomberg)

ROMA. – La Norvegia cambia rotta. Dopo otto anni la premier conservatrice Erna Solberg è stata sconfitta dai laburisti di Jonas Gahr Stoere in un voto dominato dalla crisi climatica e, soprattutto, dal futuro dell’enorme e strategica industria petrolifera del Paese.

Una vittoria schiacciante quella del milionario ex ministro degli Esteri che adesso dovrà convincere il partito di centro e la sinistra socialista a formare un governo di coalizione sostenuto da 89 parlamentari, quattro in più del numero necessario per una maggioranza assoluta. Dovrebbero restare fuori i Verdi, l’unica forza nel Paese che si batte per interrompere totalmente e in tempi relativamente brevi esplorazioni e produzione di petrolio.

La transizione energetica del Paese sarà con tutta probabilità il dossier principale nei colloqui che i laburisti hanno avviato in queste ore e che secondo gli analisti potrebbero durare qualche settimana. La soluzione per un compromesso potrebbe essere quella di non fissare scadenze per le esplorazioni di petrolio ma almeno escludere alcune acque particolarmente sensibili, soprattutto nell’Artico.

Nonostante le promesse elettorali sull’energia green infatti, alla fine la visione di Stoere sulla questione petrolio non si discosta molto da quella della Solberg. Entrambi i leader sono convinti che si debba dare tempo all’industria di trasformarsi, altrimenti non sopravvivrà. D’altra parte è un settore che rappresenta il 14% del Pil norvegese e dà lavoro a 160.000 persone.

I Verdi, unica voce fuori dal coro, continuano a chiedere uno stop immediato alle esplorazioni e la fine della produzione entro il 2035. Ma non essendo riusciti a raggiungere la soglia del 4% non avranno il peso necessario per influenzare le decisioni del governo. “Il nostro lavoro per il momento è finito”, ha dichiarato dopo la sconfitta Solberg che per il suo approccio pragmatico era stata soprannominata ‘Iron woman’.

In questi otto anni si è concentrata soprattutto sul contenimento dell’immigrazione e sulla riduzione delle tasse per favorire la crescita economica. E’ riuscita a portare la Norvegia fuori dalla pandemia di Covid, ma è stata fortemente criticata per la riforma del settore pubblico e le diseguaglianze economiche. Non l’ha aiutata in queste elezioni la gaffe dello scorso aprile quando è stata multata per aver infranto le regole anti-coronavirus organizzando un mega party di compleanno.

Con l’arrivo al potere di ‘super-Jonas’, un soprannome che il futuro premier norvegese non sembra gradire, lo scenario muta. Ex ministro nel governo di Jens Stoltenberg, di cui è considerato erede e protetto, in campagna elettorale ha puntato molto sulla retorica della “gente comune” e sull’aumento delle tasse ai più ricchi suscitando le facili critiche degli avversari essendo lui molto più che benestante.

Pare che il suo patrimonio si aggiri attorno ai 140 milioni di corone (circa 14 milioni di euro), grazie alla fortuna ereditata negli anni ’70 dalla vendita dell’azienda di famiglia, una fabbrica di forni. Studi a Science Po a Parigi e alla London School of Economics, sposato con tre figli, nel 2008 è sopravvissuto ad un attentato dei talebani contro l’hotel in cui alloggiava a Kabul e nel 2011 alla strage compiuta da Anders Breivik sull’isola di Utoya. Era stato alla festa dei giovani socialisti il giorno prima. Durante la campagna elettorale ha detto: “Le mie finanze non sono comuni, ma molte cose di me lo sono”. Parola di ‘super-Jonas’.

(di Benedetta Guerrera/ANSA)