Draghi sente Erdogan, disgelo per il G20 e l’Afghanistan

In Presidente del Consiglio, Mario Draghi nel suo ufficio in una foto d'archivio
In Presidente del Consiglio, Mario Draghi nel suo ufficio in una foto d'archivio. (Ufficio Stampa e Comunicazioni Presidenza del Consiglio)

ROMA.  – Mario Draghi intensifica i contatti internazionali in vista del vertice del G20 di Roma, spinto anche dalla volontà di convocarne uno straordinario interamente dedicato alla crisi afghana. Dopo la telefonata con il cinese Xi Jinping, è stata la volta del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

Una sorta di disgelo tra i due leader da quando, lo scorso aprile, il premier italiano definì Erdogan “un dittatore”, precipitando Roma e Ankara sull’orlo di una crisi diplomatica. I due si sfiorarono poi al vertice Nato di alcuni giorni dopo, senza però alcun chiarimento.

Palazzo Chigi definisce il colloquio un fruttuoso e amichevole scambio sulle priorità della presidenza italiana del G20, “volte a ridurre le disuguaglianze, tutelare la salute globale e promuovere una ripresa rapida e sostenibile”, e l’occasione per rinnovare al leader turco l’invito a partecipare al summit di fine ottobre a Roma.

Ma soprattutto incentrato sugli ultimi sviluppi della crisi afghana e le sue implicazioni a livello regionale, con la Turchia che si è offerta di contribuiré all’operatività e alla sicurezza dell’aeroporto di Kabul, ancora fondamentale per proseguire nelle evacuazioni degli afghani.

Draghi ed Erdogan hanno quindi parlato “degli eccellenti rapporti bilaterali e delle opportunità di rafforzamento del partenariato”. E hanno discusso anche di Libia, del proceso politico in corso e della situazione sul terreno, dove Ankara mantiene ancora quelle forze militari che aiutarono Tripoli a resistere all’avanzata di Khalifa Haftar con mire espansionistiche in quel quadrante del Mediterraneo.

Il mondo intanto guarda attraverso lenti diverse al nuovo governo dei talebani, con l’Occidente preoccupato dal volto oscurantista del regime mentre la Cina saluta “la fine dell’anarchia” delle ultime settimane a Kabul. Ma è tutta la comunità internazionale – Pechino compresa – a lanciare l’allarme terrorismo, nel timore che l’Afghanistan possa tornare a essere una base per il jihadismo globale. Anche perché il nuovo esecutivo guidato da Mohammad Hasan Akhund è composto per lo più da most wanted dell’Fbi e altre agenzie internazionali.

Stati Uniti e Unione europea sottolineano inoltre come il nuovo governo non sia né inclusivo né rappresentativo, come i talebani avevano promesso. La Cina attribuisce invece “grande importanza” all’istituzione del governo ad interim, definendolo “un passo necessario per il ripristino dell’ordine interno e della ricostruzione postbellica”, su cui il Dragone ha del resto già puntato gli occhi.

Tuttavia, anche Pechino suggerisce ai talebani di unire tutti i gruppi etnici per costruire “un quadro politico ampio e inclusivo”, di perseguire “una politica interna ed estera moderata e stabile” per “ottenere un maggiore riconoscimento globale” e di dare “un taglio netto” ai legami con il terrorismo, nel timore di “infiltrazioni” jihadiste nel confinante Xinjiang, la regione della minoranza musulmana uigura repressa dal governo centrale.

“Alcuni terroristi internazionali in Afghanistan stanno pianificando di infiltrarsi nei Paesi vicini”, è l’allarme lanciato dal ministro degli Esteri Wang Yi, in un incontro con i colleghi di Pakistan, Iran, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

All’altro capo del mondo, a Ramstein in Germania, il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il tedesco Heiko Maas presiedevano intanto una riunione virtuale dei ministri occidentali dalla quale è risuonata la stessa alerta terrorismo.

“L’Afghanistan non può ridiventare una minaccia alla sicurezza internazionale”, ha di nuovo ammonito Luigi Di Maio suggerendo che la Coalizione anti-Daesh, già impiegata contro l’Isis in Iraq e Siria, “potrebbe fornire una piattaforma per qualsiasi azione futura”.

“Giudicheremo il governo afghano dai fatti”, hanno ribadito all’unisono i ministri, che sembrano voler lasciare ancora un margine di manovra ai talebani per evitare l’isolamento internazionale. Ma l’ottimismo scompare con il passare delle ore e con le notizie agghiaccianti che arrivano dall’Emirato islamico.

(di Laurence Figà-Talamanca/ANSA).

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