Il giallo dell’arresto di Karzai a Kabul

L'ex presidente afghano Hamid Karzai durante una visita a corpi di sicurezza. Archivio.

ISTANBUL. – Solo poche ore fa venivano annoverati dai talebani nel “governo inclusivo” promesso alla comunità internazionale. Ora, l’ex presidente afgano Hamid Karzai e il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah Abdullah si troverebbero ai domiciliari, trattenuti insieme e privati della scorta armata, nonché dei mezzi di trasporto.

La notizia, riferita alla Cnn da fonti locali, non ha finora trovato riscontro nei diretti interessati. Anzi, via Twitter l’ex capo dello stato è tornato a farsi vivo, riferendo di un nuovo incontro oggi con i membri del Consiglio degli ulema sciiti, nell’ambito dei colloqui in corso in vista della creazione di un “sistema generale in cui siano protetti i diritti di tutti i cittadini del Paese”.

E sempre via social, Ahmadullah Wasiq, numero 2 della commissione Cultura dei mullah, ha smentito seccamente la notizia. Un rimpallo di voci impossibili da verificare per gli osservatori esterni, nelle stesse ore in cui la capitale afghana torna a insanguinarsi.

Secondo la ricostruzione della tv americana, i talebani avrebbero tolto armi e mezzi di trasporto alla scorta di Karzai – 13 anni al potere dopo l’intervento militare occidentale – e di Abdullah, protagonista sin dal 2020 delle trattative a Doha volute da Donald Trump in vista del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan.

I due sarebbero di fatto finiti agli arresti domiciliari. Già lunedì, spiega la Cnn, l’ex presidente era stato privato del dispositivo di sicurezza, inducendolo a trasferirsi nella residenza di Abdullah, pure lui lasciato poi senza guardie armate, mentre la sua abitazione veniva perquisita e messa sotto controllo.

I contatti con l’esterno, ancora possibili, sarebbero filtrati dai talebani. E del resto potrebbe anche trattarsi di una forma di controllo rafforzato in un momento cruciale nei confronti delle figure più note estranee ai sedicenti studenti coranici a essere pubblicamente candidate a far parte del Consiglio governativo di 12 membri, ipotizzato per assistere nella gestione del potere il futuro leader dell’Emirato islamico: un organo di cui, stando agli annunci, dovrebbero far parte almeno un altro paio di esponenti non direttamente collegati ai talebani.

Ancora ieri, i due incontravano delegazioni delle organizzazioni femminili e accademiche, sottolineando “l’importanza del ruolo delle donne nel futuro del Paese”, nonché diplomatici stranieri come l’ambasciatore iraniano.

Nel pieno del caos di Kabul, travolta adesso anche dal ritorno degli attentati terroristici, il giallo aumenta così la confusione all’orizzonte.

Se venisse confermato, però, questo sequestro di fatto segnerebbe un deciso tradimento delle rassicurazioni dei fondamentalisti sull’Afghanistan che verrà, confermando i già forti timori rispetto agli altri impegni sbandierati davanti a media e diplomatici esteri, dai diritti delle donne alla tutela delle minoranze etniche.

E a essere beffati sarebbero per primi proprio i due grandi mediatori, che avevano subito scommesso sul nuovo corso, anche volando la scorsa settimana in Qatar per gli approcci iniziali con la leadership politica dei mullah.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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