Draghi ad Amatrice: “Prima ritardi, ora la ricostruzione va”

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle celebrazioni in occasione dell’anniversario del sisma del 2016.
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle celebrazioni in occasione dell’anniversario del sisma del 2016. (Ufficio Stampa e Comunicazione della Presidenza del Consiglio)

AMATRICE (RIETI). – La torre civica ingabbiata da fili di acciaio, un paio di case vicine di cui restano solo le colonne portanti e il tetto. Dietro, macerie accatastate e in fondo una gru gialla che svetta fiera. Sono le poche ‘pedine’ di resistenza visibili ad Amatrice, poggiate su un asfalto che non c’è più e circondate da cespugli ed erbacce.

Ci vuole coraggio oggi a immaginarsi il centro di Amatrice com’era 5 anni fa. Spazzato via dalla scossa di magnitudo 6 che svegliò tutti la notte del 24 agosto 2016, uccidendo 239 persone. Altre 60 sono morte nei borghi vicini, da Accumuli ad Arquata del Tronto. Oggi però il borgo laziale prova a rinascere. La speranza è aggrappata a quella gru che domina il perimetro spettrale della zona rossa, qualcun altra si vede intorno.

“La ricostruzione sta procedendo più velocemente”, assicura Mario Draghi, nel paesino per la cerimonia dell’anniversario. Il premier ammette e denuncia i ritardi del passato: “Se oggi sono qui è perché lo Stato vi è vicino. In passato è stato lento ma adesso la situazione è diversa: i lavori stanno procedendo”.

Lo dice ai parenti delle vittime che incontra, garantendo l’impegno del governo. Prima, rende omaggio ai morti lasciando una corona d’alloro davanti al monumento di travertino che ricorda il motto di Amatrice, ‘Fidelix amatrix’ per la lealtà che gli amatriciani dimostrarono agli Aragonesi nel 1400. Lo fa accompagnato dal suono struggente del Silenzio intonato dalla tromba di un carabiniere.

Poco dopo partecipa alla messa nel campo sportivo. Quando entra, gran parte delle persone sedute in attesa – tutte distanziate causa Covid – si alzano in piedi. Sono per lo più padri, madri, fratelli o amici di chi non c’è più. Qualcuno prova ad avvicinarlo dopo, lo fa una rappresentante dei terremotati di Ischia per ricordargli anche quell’emergenza.

Più schivi gli amatriciani che guardano al presente con i dubbi degli ultimi 4 anni, ma anche un pizzico di speranza. E’ quella che mostra il commissario straordinario per la ricostruzione Giovanni Legnini, convinto che il meccanismo inceppato finora, si sia sbloccato. Complici le ordinanze ad hoc emanate e i soldi in più a disposizione.

“Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte, insieme alla ricostruzione pubblica e allo sviluppo – spiega – Serve un uso serio ed efficace del miliardo e 800 milioni stanziato con il fondo complementare del Pnrr”. Nega le critiche espresse da alcuni quotidiani che fermano la ricostruzione a una sola gru attiva (“Basta guardarsi intorno, contarle e capire che sono bugie”) ma ammette che la ricostruzione pubblica è la vera Cenerentola. Ringrazia perciò Draghi per il sostegno: la sua testimonianza è molto preziosa”.

Sui centri storici si concentra la nostalgia dei residenti, specie gli anziani. Lo racconta Alberto di 85 anni che di quella notte ha un ricordo netto: “E’ il rumore che ho sentito poco prima della scossa, come se la terra ci stesse avvertendo – racconta un po’ emozionato – Mai mi sarei aspettato di perdere casa mia, ma non l’ho voluta abbandonare e mi sono comprato una casetta di legno che ho messo in giardino. Da lì la guardo ma non posso ancora entrarci. E intorno c’è poco altro”.

Anche un paio di donne del coro lamentano la vita sociale che manca. “Ho perso mia nuora e mia nipote di 14 anni. Ho il mio dolore ma anche negli altri giorni è dura, perché siamo tutti dispersi, chi di qua chi di là”, rivela Annamaria. Scene di vita e socialità che fanno a botte con la spianata fantasma di quel corso Umberto divelto. Ancor di più oggi, nel giorno del lutto cittadino che chiude tutti i bar e negozi del centro commerciale ‘II corso’, ricostruito appena fuori dalla zona rossa e rimasto quasi l’unica forma di vita nel paese.

Ma che la ricostruzione sia avviata lo dice pure il vescovo di Rieti, Domenico Pompili che celebra la messa. “Non abbiamo bisogno di nuovi presepi ma di piccoli centri attivi a presidio di un territorio ancora straordinario e attraente per l’autenticità dei luoghi”, ammonisce durante l’omelia. E solleva un’altra urgenza: i collegamenti tra l’Adriatico e il Tirreno: “tenerli ancora separati per centinaia di chilometri è un’imperdonabile leggerezza”.

Fiducioso nel futuro di Amatrice è il vicesindaco Massimo Bufacchi. Elenca gru e cantieri, che aumenteranno nei prossimi mesi, spiega i progetti ma ammette: “Ci vorranno due anni per finirli..”. Case e mattoni a parte, sono le persone che vorrebbe rivedere ad Amatrice: “Prima del terremoto avevamo 2600 abitanti, oggi poco più di 2000. Abitano nella casette, circa 1200, ma altri preferiscono vivere altrove. Dobbiamo riportarli qui”.

(dell’inviata Michela Suglia/ANSA)

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