“Frustati per i jeans”, torna la paura a Kabul

Talebani in azione.
Talebani in azione. (ANSA)

ROMA.  – Nonostante le promesse di un Emirato islamico diverso da quello di vent’anni fa, i Talebani mostrano ancora un volto fatto di violenza, minacce e repressione dei diritti, in particolare delle donne.

Quello che sta succedendo in questi giorni in Afghanistan filtra attraverso le denunce di cittadini, giornalisti e attivisti, che aumentano di giorni in giorno e raccontano di vessazioni e soprusi. Come quelli subiti da alcuni giovani afghani che hanno raccontato di essere stati frustati solo perché indossavano dei jeans.

In un post su Facebook, un ragazzo ha scritto che stava camminando con i suoi amici a Kabul quando sono stati fermati da alcuni talebani che li hanno accusati di “non rispettare l’Islam”. Due di loro sono riusciti a scappare ma gli altri sono stati picchiati, frustati sul collo e minacciati con una pistola.

Quello dei ragazzi in jeans non è un caso isolato. Il quotidiano afghano Etilaatroz ha denunciato nel weekend che anche uno dei suoi giornalisti è stato picchiato perché non indossava “abiti afghani”. E ci sono state altre segnalazioni di giovani presi di mira per aver indossato magliette e jeans, simbolo dell’odiato Occidente.

Ma a pagare le conseguenze più drammatiche del ritorno dell’Emirato islamico sono certamente le donne, che dalla presa di Kabul di Ferragosto vivono nel terrore. Tra le ultime denunce, due impiegate al palazzo presidenziale della capitale hanno riferito di essere state cacciate dagli islamisti all’ingresso.

“I talebani avevano detto che potevamo andare in ufficio e così abbiamo fatto. Ma quando siamo arrivate ci hanno detto che non eravamo autorizzate ad entrare fino a quando non sarà nominato un nuovo imam e altre scuse così”, hanno raccontato in un video rilanciato su Twitter dalla giornalista iraniana Masih Alinejad.

Le donne hanno detto di aver ripreso quel momento ma che sono state costrette a cancellare il video. “Non ci guardavano neanche in faccia mentre ci parlavano, anche se indossavamo l’hijab”.

“Non c’è differenza tra i talebani di oggi e quelli di 20 anni fa – la conclusione che ne hanno tratto -. Le porte del palazzo presidenziale sono chiuse alle donne. Non ci fanno andare a lavorare”. Ma “il mondo deve sapere che se anche i talebani sono gli stessi, le donne in Afghanistan sono cambiate. Chiediamo a tutte le afghane di scendere per le strade, andare a lavorare. Questo non è il momento di restare in silenzio”.

Il clima di paura, abusi e minacce smentisce nei fatti quello che i talebani continuano a promettere a parole: “Le donne non perderanno alcun diritto. Solo se non indossano l’hijab… Ma con l’hijab avranno gli stessi diritti che hanno le donne nei vostri Paesi”, ha assicurato anche oggi Suhail Shaheen, uno dei portavoce dei talebani, spiegando che nel Paese “le insegnanti hanno ripreso a lavorare, così come le giornaliste tv”.

La realtà sembra però essere ben diversa, come testimoniato anche dalle attiviste dell’onlus italiana Pangea, picchiate dai Talebani: “Vedere le foto con i loro lividi è stato straziante. I bambini hanno assistito a scene di violenza inaudita e sono molto spaventati”, ha fatto sapere l’organizzazione milanese le cui attiviste oggi hanno potuto lasciare l’Afghanistan dirette in Italia.

(di Stefano Intreccialagli/ANSA).

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