Bob Dylan accusato di abusi su una dodicenne nel 1965

Bob Dylan in una foto del 2001 mentre suona durante il Roskilde Festival in Dinamarca per i nfesteggiamenti del suo 75 esimo compleanno.
Bob Dylan in una foto del 2001 mentre suona durante il Roskilde Festival in Dinamarca per i nfesteggiamenti del suo 75 esimo compleanno. ANSA/EPA/Niels Meilvang

NEW YORK.  – Lei è una donna di 68 anni che vive in Connecticut, alle porte di New York. Lui un ottuagenario, mito della controcultura e premio Nobel per la Letteratura.

Identificata solo con le iniziali, J.C. ha fatto causa a Bob Dylan per averla sedotta e violentata nella primavera del 1965, quando lei aveva appena 12 anni e lui un musicista di meno di 24 da tempo sulla cresta dell’onda.

Teatro degli abusi, complici alcol e droga oltre alla fama da divo folk-rock del futuro premio Nobel, sarebbe stata una stanza del leggendario (e maledetto) Chelsea Hotel, l’albergo sulla 23esima strada di Manhattan da cui nel 1953 il residente a lungo termine Dylan Thomas uscì per l’ubriacatura che gli risultò fatale, dove Sid Vicious dei Sex Pistols accoltellò a morte la fidanzata Nancy Spungen, Arthur Clarke scrisse “2001 Odissea nello Spazio” e Arthur Miller, dopo il divorzio da Marylin Monroe, “After the Fall”.

Anche Dylan abitò al Chelsea: dal 1961 al 1964, secondo un articolo sull’Enciclopedia Britannica, e poi certamente nel 1966. Fu nella stanza 211, poco lontana da quella di Leonard Cohen e Janis Joplin, che quell’anno il cantautore compose “Sad Eyed Lady of the Lowlands” e altri brani confluiti poi nell’album “Blonde on Blonde”.

Dylan, attraverso un portavoce, ha smentito con sdegno l’accusa, “vecchia di 56 anni e falsa”, proclamando poi che “si difenderà con forza in tribunale”.

L’azione legale è stata presentata il 14 agosto, l’ultimo giorno prima della scadenza dei termini previsti da una legge dello stato di New York, che consentiva alle vittime di abusi durante l’infanzia di costituirsi in giudizio contro i loro aggressori a prescindere da quanto vecchi siano i fatti denunciati.

J.C., che vive a Greenwich, una ricca enclave della cosiddetta costa d’oro del Connecticut, chiede una somma non specificata in risarcimento. La donna sostiene di aver súbito danni emotivi permanenti e di essere ricorsa a cure mediche per superare il trauma degli abusi subiti quando non era ancora teenager.

Secondo l’accusa, Dylan, all’epoca un musicista già di successo (era appena uscito a fine marzo il suo album “Bringing It All Back Home”), avrebbe fatto amicizia con la ragazzina, “guadagnandosene la fiducia e abbassando le sue inibizioni tra droghe, alcolici e minacce di violenze fisiche allo scopo di molestarla sessualmente”.

Da quelle “sei settimane” tra aprile e maggio al Chelsea Hotel, J.C. afferma di aver riportato “cicatrici emotive e danni psicologici”, depressione e attacchi di ansia, di cui ancora soffre le conseguenze.

Sono accuse pesanti nell’epoca del #MeToo, ma amici dell’artista hanno gettato dubbi sulla veridicità del racconto: citate dal columnist di ShowbBiz411 Roger Friedman, fonti vicine al cantante sostengono che basta guardare al calendario di quelle settimane per capirne l’infondatezza.

Dylan, che all’epoca faceva ancora coppia fissa con Joan Baez, in aprile sarebbe stato in tournée sulla West Coast prima di partire il 26 di quello stesso mese per Londra, dove fu filmato da D.A.

Pennebaker per il celebre documentario “Don’t Look Back”. Poi, all’inizio di giugno, lo si ritrova in uno studio della Bbc per registrare due special “rinviati di una settimane a causa di una malattia” che restano tra le sue ultime apparizioni “acustiche” prima della svolta “elettrica”.

(di Alessandra Baldini/ANSA).