Ghani scappa, ultimo atto d’un presidente dimezzato

Talebani all'aeroporto di Kabul.
Talebani all'aeroporto di Kabul. (ANSA)

MOSCA. – Un leader che fugge può salvarsi dai nemici, ma resta indifeso davanti alla storia. L’epilogo dell’era targata Ashraf Ghani, salito al soglio della presidenza nel 2014, ci appare dunque simile a molte altre caduteeccellenti a cui abbiamo assistito in questi ultimi 20 anni.

Che Ghani fosse un presidente eletto, e non un dittatore oltre data di scadenza, come Gheddafi o Saddam Hussein, poco importa al popolo afghano, abbandonato a se stesso nell’ora più buia: se un comandante, infatti, deve (o dovrebbe) lasciare la nave che affonda per ultimo, un capo di Stato o di governo non dovrebbe scappare per primo, in elicottero, quando il nemico sfonda le porte. Qualunque siano le ragioni.

Ghani ha mascherato l’egoismo con l’altruismo. “Per evitare spargimenti di sangue ho pensato che sarebbe stato meglio andarsene”, ha scritto su Facebook poco dopo la presa di Kabul da parte dei Talebani.

Peraltro, al momento, non si sa dove. L’Uzbekistan ha smentito di averlo accolto mentre le ultime voci lo danno in Oman o persino in viaggio verso gli Usa (dove ha vissuto e lavorato per anni).

L’ex presidente Hamid Karzai più o meno nelle stesso ore ha fatto l’esatto opposto, pubblicando un video in cui assicurava ai suoi seguaci di voler restare nella capitale del Paese, con le sue figlie, “per gestire un pacifico trasferimento di potere”.

Al di là dei vari opportunismi, panna montata sulla tragedia di un popolo che ne ha viste di ogni colore in quaranta e passa anni, gli afghani lo hanno maledetto per questo suo ultimo atto che viene bollato da molti come l’insulto estremo.

Già dirigente della Banca Mondiale dal 1991, ex studente dell’università americana di Beirut e con un dottorato alla New York University, Ghani (oggi 72enne) aveva fatto rientro in patria dopo la caduta dei Talebani ricoprendo la carica di ministro delle Finanze sotto Karzai dal 2002 al 2004 (la sua fissazione era la lotta alla corruzione).

Autore d’importanti riforme, nonché di una fallimentare corsa alla presidenza nel 2009, nel 2014 finalmente centra l’obiettivo. Ma la tanto promessa crociata alla corruzione non si materializza.

Chi lo conosce da vicino racconta invece di “esplosioni d’ira” che ben presto lo rendono una figura problematica sia per i colleghi afghani che per i partner internazionali. Visionario, sognatore, esigente, divisivo, solitario, elitista sono solo alcuni degli aggettivi con cui viene descritto.

Sta di fatto che nei suoi ultimi anni in carica Ghani si è visto prima tagliato fuori dai colloqui tra Washington e i Talebani e poi costretto dagli Usa a rilasciare 5.000 miliziani incalliti per sigillare quell’accordo di pace che non si è mai concretizzato: di certo non un toccasana per un uomo colpito dal cancro allo stomaco e costretto a cibarsi di spuntini perché impedito alla digestione.

Ma oltre alla vergogna, forse, l’ignominia. Il portavoce dell’ambasciata russa a Kabul lo ha accusato di essere fuggito con l’elicottero zeppo di soldi, tanti da doverne abbandonare a pacchi sulla pista di decollo. Magari una calunnia, difficile da smentire o provare (solo l’agenzia statale russa Ria Novosti, parte del network Sputnik, ne parla e Mosca certamente non lo amava). Ma si torna al principio: chi fugge non ha voce.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA).

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