L’erede del mullah Omar a capo di tante milizie

Il capo talebano Hibatullah Akhundzada.
Il capo talebano Hibatullah Akhundzada. (Twitter)

ISTANBUL. – Nell’ampia e frammentata galassia di miliziani che da settimane avanza in Afghanistan sotto le insegne dei Talebani c’è una figura che finora è riuscita a garantire l’unità e la continuità: erede del fondatore e leader carismatico mullah Omar, Hibatullah Akhundzada è dal 2016 ufficialmente riconosciuto come il capo degli “studenti coranici”.

Considerato a lungo un riferimento sul piano religioso ancor prima che militare, autore di molte delle fatwa (i responsi degli esperti di diritto islamico) emesse a nome del gruppo nell’ultimo ventennio, sarebbe stato scelto alla guida degli insorti islamisti come figura di garanzia dopo l’uccisione nel raid di un drone di Akhtar Mansur, di cui era il numero 2.

All’origine del suo prestigio interno c’è anche la fedeltà al gruppo, manifestata rimanendo prevalentemente in Afghanistan, anche quando altre figure di spicco si sono rifugiate all’estero, specie in Pakistan, dopo l’offensiva americana.

Originario di Kandahar, come i suoi predecessori a capo dei Talebani, il 60enne Akhundzada è ritenuto un ortodosso anche per il mantenimento del rapporto privilegiato con Al Qaeda e la forte opposizione contro i tentavi di infiltrazioni negli anni scorsi dell’Isis tra i Talebani. Le sue decisioni, suggeriscono gli esperti, restano comunque concordate con la shura, l’organo direttivo comune.

Sul piano della strategia militare, secondo molti analisti, è però forse più centrale il ruolo dei suoi due “vice”: Sirajuddin Haqqani, signore della guerra a capo dell’omonima rete di milizie, e il mullah Mohammad Yaqoob, figlio del mullah Omar, accreditato di un rapporto diretto con numerosi comandanti di milizie locali e ambizioni di leadership.

Sul campo, secondo esperti americani, i Talebani possono contare oggi su almeno 60 mila combattenti armati attivi, che potrebbero arrivare fino a 200 mila con il reclutamento di altre milizie legate a signori della guerra locali, alcune delle quali si sarebbero già unite al gruppo.

Insieme ai jihadisti afgani, sostengono poi diversi rapporti, sono impegnati anche circa 10 mila foreign fighter, in maggioranza pachistani ma proveniente anche da diversi Paesi dell’Asia centrale, dall’Uzbekistan al Turkmenistan, oltre a gruppi di ceceni e di uiguri dalla Cina.

Un fronte ampio che secondo testimonianze sempre più numerose combatte utilizzando anche armamenti forniti dall’esercito americano e sottratti alle forze regolari di Kabul, arresesi o sconfitte in battaglia negli ultimi mesi.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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