Tokyo: superscarpe, robot o chiodi, il futuro è qui

Corridori con scarpe col tacco.
Corridori con scarpe col tacco. (AQnsalatina)

TOKYO. – Qualcuno lo chiama doping tecnologico, altri futuro. Di sicuro, a prescindere dalle proteste di Usain Bolt per le superscarpe in parte consentite, non si tratta ne’ di questione di provette ne’ di pratiche misteriose.

Si tratta invece dell’uso spinto, e sorprendente, della tecnologia per migliorare la prestazioni, in gara, singole o di squadra, e a volte rimane il dubbio che l’innovazione sia andata oltre il consentito. Per questo ai Giochi i controlli anche su questo fronte sono frequenti, e anche meticolosi.

A Tokyo 2020 ci sono già stati dei casi nella vela, con successive quattro squalifiche che, nello specifico, hanno comportato l’annullamento dei risultati ottenuti in due regate.

A subirle sono stati Irlanda e Brasile nel classe 49er e Germania e Argentina nel 470 donne. In tutti e quattro i casi è stato rilevato un peso non regolamentare (deve essere di tre chili) del trapezio, ovvero quella particolare imbragatura, detta appunto “trapecio” o anche “mutanda” per la sua forma, che ha un gancio aperto posto all’altezza dei fianchi.

L’atleta aggancia l’anello e, poggiando i piedi sul bottazzo (il tipo di parabordo di queste imbarcazioni), si sporge orizzontalmente fuori bordo, e così aumenta la forza raddrizzante della barca.

Per renderlo più performante qualcuno ha provato a modificarlo cercando di rimanere nei limiti consentiti, ma uno “sforamento” dai duecento ai trecento grammi in più ha provocato le squalifiche di cui sopra, comminate dopo le verifiche dei giudici “stazzatori” di Tokyo 2020.

Nella vela si usano poi delle calzature in neoprene, tipo muta, con suola con battistrada stile Pirelli per avere più grip a bordo. Abituati alle Sperry Top Sider di una volta, all’inizio sembrava strano, poi tutti si sono abituati al punto che non è più possibile farne a meno.

Intanto le prime batterie dei 100 metri donne, nello stadio Olimpico, hanno riaperto il dibattito sulle super scarpe, viste certe prestazioni un po’ oltre le previsioni. Il dibattito va avanti da tempo, prima sulle calzature magiche dei maratoneti, vedi Eliud Kipchoge, paragonate per i vantaggi che danno ai body suit,  i “costumoni” gommati con inserti di poliuretano, che il nuoto ha vietato ormai da qualche anno.

Adesso è il turno delle chiodate per i velocisti, con una piastra di carbonio più larga della pianta del piede che amplia la superficie di contatto, consentendo una maggior stabilità nei primi appoggi e migliora l’accelerazione nei primi 30-40 metri.

Proprio osservando oggi la spinta iniziale di certe sprinter, l’impressione è che sia tutto vero, come ha indirettamente confermato nei giorni scorsi Usain Bolt, dicendo che con quelle scarpe lui avrebbe migliorato di molto i suoi già incredibili record.

Ma ha anche aggiunto che per lui l’utilizzo di questi “strumenti” non è giusto. Qualcosa del genere successe nel 1968 quando, prima dei Giochi di Città del Messico, John Carlos corse i 200 in 19″70 a Echo Summit, in altura, ma il tempo non venne convalidato perché l’americano gareggiò con scarpe non regolamentari, con numero di chiodi superiore a quello autorizzato, quindi con maggiore presa sul terreno e più spinta. All’epoca nessuno ci fece caso.

Oggi intanto, sempre nell’atletica, è comparso FSR, un piccolo robot che aiuta a recuperare gli attrezzi dei lanci, e al quale ha lavorato la Toyota insieme alla federazione internazionale. In precedenza FSR era comparso nell’intervallo di Usa-Francia  di basket, dove si era “esercitato” nei tiri liberi.

Sono invece fatte con gli ultimi ritrovati in fatto di fibre di carbonio le canoe con cui si gareggia ai Giochi, ma per riparare la punta della sua l’australiana Jessica Fox, impegnata nella gara di K1 slalom, ha usato un preservativo che aveva in tasca essendo a corto di materiale più moderno. Di necessità virtù, anche nell’era della tecnologia.

(dell’inviato Alessandro Castellani/ANSA).

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