La Cina accoglie i talebani: “Gli Usa hanno fallito”

Un agente afghano di sicurezza fa la guardia in un posto di controllo a Jalalabad, Afghanistan,.
Un agente afghano di sicurezza fa la guardia in un posto di controllo a Jalalabad, Afghanistan,. EPA/GHULAMULLAH HABIBI

PECHINO. – La Cina ha accolto i talebani a Tianjin e ha sferrato un attacco diretto agli Stati Uniti, il cui ritiro precipitoso delle truppe dall’Afghanistan “ha in realtà segnato il fallimento della politica americana”.

Il ministro degli Esteri Wang Yi, incontrando la delegazione guidata dal capo negoziatore, il mullah Abdul Ghani Baradar, ha assicurato che il popolo afghano ha “un’importante opportunità per stabilizzare e sviluppare il Paese” e “tutte le fazioni dovrebbero unirsi, promuovere il processo di pace per avere risultati sostanziali quanto prima e stabilire in modo indipendente una struttura politica ampia e inclusiva”.

Pechino si è lanciata negli sforzi per riempire lo spazio lasciato vuoto dal disimpegno americano, non ancora totale, con una mossa all’impronta del “pragmatismo cinese”: un invito pochi giorni dopo la visita della vice segretario di Stato americano Wendy Sherman e quando i combattenti talebani hanno rivendicato il controllo di circa metà dell’Afghanistan, fino al confine con la regione dello Xinjiang, a dispetto degli attacchi aerei Usa a sostegno delle forze di sicurezza afghane.

La Cina è il più grande vicino dell’Afghanistan, di cui ha rispettato “sempre la sovranità e l’integrità territoriale”, aderendo alla non interferenza negli affari interni di un altro Paese e perseguendo una politica amichevole, ha riferito il ministero degli Esteri in una nota.

La priorità per Pechino è stabilizzare il Paese e scongiurare il timore che possa diventare la base di attività terroristiche e di destabilizzazione dello Xinjiang, dove la minoranza uigura e musulmana è oggetto di repressione, secondo le accuse Usa e di molti Paesi occidentali.

Wang ha esplicitamente citato il Movimento islamico del Turkistan orientale (Etim), definito “un’organizzazione terroristica internazionale elencata dall’Onu”, vista come “una minaccia diretta alla sicurezza nazionale e all’integrità territoriale della Cina”. E ha chiesto di “reprimere l’Etim”, la sigla separatista indicata da Pechino come responsabile delle turbolenze nello Xinjiang.

Baradar, sempre il ministero degli Esteri cinese, ha espresso “la sua gratitudine per l’opportunità di visitare la Cina”, ritenuta “un amico degno di fiducia e un buon amico del popolo afghano” di cui apprezza “il ruolo giusto e attivo nel proceso di pace e riconciliazione in Afghanistan. Non permetteremo mai ad alcuna forza di usare il territorio dell’Afghanistan per fare cose che mettano in pericolo la Cina”.

Parole concilianti alle quali Pechino spera possano seguire i fatti, mentre continua la caccia agli attivisti uiguri in esilio. L’ultimo a finire nella rete è Yidiresi Aishan, arrestato in Marocco in base ad un mandato di cattura spiccato dalla Cina con l’accusa di terrorismo e diffuso attraverso l’Interpol, in base a quanto riferito dalla polizia locale.

I gruppi di attivisti hanno lamentato di temere che l’uomo sia estradato estradato in Cina, denunciando il mandato d’arresto come mossa politica nell’ambito di una persecuzione dei dissidenti all’estero.

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