Le ferite del Covid: meno 735 mila occupati da pre-pandemia

Una manifestazione di disoccupati in un'immagine d'archivio.
Una manifestazione di disoccupati in un'immagine d'archivio. ANSA CLAUDIO PERI

ROMA.  – La pandemia ha impattato fortemente sull’occupazione e sull’aumento della povertà anche tra chi lavora, ha cambiato abitudini e modalità catapultando il Paese nella sfera dello smart working.

Con ripercussioni sulle disuguaglianze e sui redditi che sono comunque state contenute dagli interventi pubblici e dalle misure messe in campo, dal Reddito di emergenza ai bonus per i lavoratori autonomi e colf, all’ampliamento di quelle già esistenti, il Reddito di cittadinanza e la cig.

É la fotografia dell’Istat sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro, che ritrae una situazione occupazionale ancora pesante con oltre 700 mila posti da recuperare rispetto al pre-Covid.

L’occupazione “è diminuita drasticamente nel 2020” con “contraccolpi che si sono estesi fino a gennaio 2021”, sottolinea il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in audizione alla commissione Lavoro della Camera: da febbraio, l’occupazione è tornata a crescere, “seppure in modo graduale”.

Tanto che tra febbraio e maggio 2021 gli occupati hanno raggiunto 22 milioni 427 mila “un livello – rileva – comunque inferiore di 735 mila unità  (-3,2%) rispetto a quello prepandemia (febbraio  2020) e prossimo ai livelli registrati a metà 2015”.

Ad essere maggiormente penalizzati sono sempre le donne e i giovani. Ma la situazione di difficoltà riguarda non solo chi il posto di lavoro lo ha perso o è stato costretto al ricorso alla cassa integrazione (sono 6,8 milioni i dipendenti coinvolti dalla cig per almeno una settimana nel 2020).

Nel corso dell’anno è aumentata la povertà anche fra coloro che hanno un  lavoro. A livello nazionale, infatti, cresce sul 2019 l’incidenza per le famiglie con una persona di riferimento occupata (passa dal 5,5 al 7,3%), sia dipendente che indipendente; per le famiglie con una persona di riferimento inquadrata nei livelli più bassi, operai o assimilati, l’incidenza sale ancora di più, dal 10,2 al 13,2%; fra i lavoratori in proprio passa dal 5,2 al 7,6%.

In totale, nel 2020 si contano oltre 2 milioni di famiglie in povertà, con un’incidenza salita dal 6,4 del 2019 al 7,7%,  e oltre 5,6 milioni di individui, in crescita dal 7,7 al 9,4%, come rilevato dagli ultimi dati Istat.

Resta alto il ricorso al Reddito e alla pensione di cittadinanza. Nel mese di giugno 2021 i nuclei familiari percettori del Reddito di cittadinanza sono stati oltre 1,2 milioni, 128 mila della pensione di cittadinanza, per un totale di 1,3 milioni di famiglie e oltre 3 milioni di persone coinvolte, di cui 753mila minorenni, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio Inps.

Ma al contempo nei primi sei mesi di quest’anno, la misura è stata revocata a circa 67mila nuclei familiari, quasi il triplo di quanto registrato in tutto il 2020, quando le revoche si attestarono a 26mila.  La motivazione più frequente, spiega l’Istituto, “è l’accertamento della mancanza del requisito di residenza/cittadinanza”.

Tra i cambiamenti indotti dalla pandemia, la diffusione del lavoro da remoto: si è trattato, sottolinea Blangiardo, di “un mutamento improvviso, che nel giro di poche settimane ha portato l’Italia in linea con la media europea, partendo da una posizione molto arretrata”.

Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, a fine 2019 lavorava da remoto circa il 5% degli occupati; nel  secondo trimestre del 2020 l’incidenza ha superato il 19%, raggiungendo il 23,6% per le donne. Si è poi ridotta, in linea con l’evoluzione delle misure di contrasto all’emergenza, collocandosi al 14% in media d’anno.

Il lavoro da remoto, svolto essenzialmente da casa e in condizioni di convivenza “forzata”, talora con figli in didattica a distanza, sottolinea il presidente dell’Istat, “ha anche influenzato gli equilibri familiari, con un’incidenza più elevata tra le donne,  che hanno una presenza relativamente maggiore in attività nei servizi lavorabili da remoto e su cui gravano più spesso responsabilità domestiche e di cura”.