Da domani il maxiprocesso sulle finanze della Santa Sede

Il cardinale Giovanni Angelo Becciu, in una foto d'archivio.
Il cardinale Giovanni Angelo Becciu, in una foto d'archivio. ANSA/FABIO FRUSTACI

CITTÀ DEL VATICANO. – E’ il maggior processo, per numero di imputati e di ipotesi d’accusa, mai celebrato in Vaticano per reati in campo finanziario. Ed è il primo che vede alla sbarra anche un cardinale, Giovanni Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto delle Cause dei Santi, primo nella storia ad essere processato in Vaticano da giudici laici, dopo la recente riforma di papa Francesco che ha fatto piazza pulita degli antichi privilegi curiali.

Può ben dirsi senza precedenti il processo che inizia domani mattina alle 9.30 nella Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, appositamente allestita come Aula di Tribunale, sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, ampliatosi molto dall’originaria vicenda investigativa dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue, a Londra, che vedrà a giudizio 10 persone – tra cui prelati, funzionari della Santa Sede, finanzieri e manager – e quattro società , per reati che, a vario titolo, vanno dal peculato alla truffa, dall’abuso d’ufficio all’appropriazione indebita, dalla corruzione all’estorsione e altri.

Al centro c’è soprattutto quello che gli inquirenti vaticani hanno definito “un marcio sistema predatorio e lucrativo” a danno della stessa Segreteria di Stato e di suoi fondi caritativi come l’Obolo di San Pietro, con conseguenti gravi perdite per le casse vaticane, e che si sarebbe retto su “complicità e connivenze” tra operatori finanziari e consulenti esterni e addetti e dirigenti interni.

Il card. Becciu, che va a giudizio con uno specifico benestare concesso da papa Francesco e che lo stesso Bergoglio, nell’udienza-shock del 24 settembre scorso, privò della carica di Curia e delle prerogative del cardinalato, è accusato di peculato e abuso d’ufficio, oltre che di “subornazione” di un testimone (mons. Alberto Perlasca, cui avrebbe cercato di far ritrattare le deposizioni accusatorie chiamando in aiuto il superiore gerarchico diocesano, il vescovo di Como Oscar Cantoni): risponderà in particolare dei bonifici per 575.000 euro fatti dalla Segreteria di Stato alla manager cagliaritana Cecilia Marogna, che sarebbero poi finiti in spese personali e oggetti di lusso, e i finanziamenti rivolti alla cooperativa del fratello Antonino (600.000 euro dai fondi Cei e 225.000 da quelli della Santa Sede).

“Sono vittima di una macchinazione ordita ai miei danni”, ha dichiarato Becciu, promettendo in sede di giudizio di “smentire le accuse e dimostrare al mondo la mia assoluta innocenza”. Oltre a lui e alla Marogna (pure lei con l’accusa di peculato), devono comparire davanti alla Corte presieduta da Giuseppe Pignatone: lo svizzero René Bruelhart, ex presidente dell’Autorità di vigilanza finanziaria (abuso d’ufficio); mons. Mauro Carlino, già segretario di Becciu (estorsione e abuso d’ufficio); Enrico Crasso, l’uomo della finanza che da decenni aveva in gestione gli investimenti della Segreteria di Stato (peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale in atto pubblico e in scrittura privata); Tommaso Di Ruzza, ex direttore dell’Aif (peculato, abuso d’ufficio, violazione del segreto d’ufficio); Raffaele Mincione, il finanziere che fece sottoscrivere alla Segreteria di Stato importanti quote del fondo che possedeva l’immobile londinese, usando poi – secondo le accuse – il denaro ricevuto per suoi investimenti speculativi (peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio); Nicola Squillace, avvocato coinvolto nella trattativa (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio); Fabrizio Tirabassi, minutante dell’ufficio amministrativo, cui è attribuito un ruolo da protagonista nella vicenda (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio); Gianluigi Torzi, il finanziere chiamato ad aiutare la Santa Sede a uscire dal fondo di Mincione che sarebbe riuscito a farsi liquidare ben 15 milioni per restituire il palazzo ai legittimi proprietari (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio). Il giudizio riguarderà anche quattro società: tre riconducibili a Enrico Crasso per l’accusa di truffa, e una a Cecilia Marogna per il presunto peculato.

L’udienza di domani – un’altra è prevista mercoledì – sarà dedicata alle questioni procedurali e alla costituzione delle parti, tra cui quella della Segreteria di Stato come parte civile. Altra parte lesa è lo Ior.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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