Killer colombiani per uccidere Moise, pista narcos a Haiti

El fallecido presidente de Haiti Jovenel Moise con su esposa Lady Martine. ANSA/EPA/ORLANDO BARRIA

BUENOS AIRES, 09 LUG – Ora è ufficiale. Per uccidere il presidente di Haiti, Jovenel Moise, una organizzazione criminale ha reclutato un piccolo esercito di colombiani, per lo più ex militari senza scrupoli, molti dei quali catturati, alcuni uccisi e otto ancora latitanti.

Si tratta di una manovalanza specializzata che il direttore generale della polizia haitiana, Léon Charles, ha definito “esecutori materiali dell’omicidio” mentre tutti gli sforzi sono ora puntati a “trovare chi sono i loro mandanti”.

L’alta complessità del piano sovversivo sembra escludere l’esistenza di una pista di politica, nonostante la forte e crescente opposizione che il defunto capo dello Stato si era attirato per l’ostinazione nel governare per decreto, senza un Parlamento e una Corte suprema funzionanti.

L’attenzione degli investigatori si concentrano così su due altre piste. La prima riguarda le potenti e storiche organizzazioni dinarcotrafficanti haitiani, collegati con i narcos colombiani, che già in passato sono intervenuti per rovesciare governi, come quello dell’ex presidente Jean Bertrand Aristide.

La seconda, più complessa, ma più concreta, è legata alla lotta generata anni fa dal finanziamento da parte del Venezuela del programa Petrocaribe, con accuse e contraccuse di corruzione che non hanno risparmiato lo stesso Moise. A lui, alcuni importante imprenditori del settore energetico di Haiti (Pierre Reginald Boulos e Dimitri Vorbe) avevano dichiarato una guerra totale.

A sostegno di questa ipotesi, alcuni media haitiani hanno rivelato che uno dei due americani di origine haitiana arrestati, James Solages, oltre ad avere ambizioni politiche ad Haiti, è personaggio vicino a Vorbe, proprietario dell’impresa elettrica Sogener.

Ma gli elementi e le circostanze da chiarire sull’accaduto sono ancora tanti. A cominciare dall’incredibile latitanza degli agenti di sicurezza del presidente la notte del 7 luglio. I media hanno sottolineato che dopo l’attacco in cui sono stati sparati molti colpi d’arma da fuoco, sono stati rivenuti sul posto solo i corpi di Moise, già senza vita, e della moglie Martine, gravemente ferita.

Nessuna traccia invece degli agenti della guardia presidenziale, e per questo il capo della Procura di Port au Prince, Me Bed-Ford Claude, ha chiesto di ascoltare il 14 e 15 luglio prossimi i due massimi responsabili della sicurezza del capo dello Stato, Jean Laguel Civil e Dimitri Hérard.

Un altro fatto che ha sorpreso riguarda la scelta di undici dei colombiani del commando in fuga di cercare rifugio nel recinto dell’ambasciata di Taiwan a Port au Prince. Pare comunque escluso qualsiasi sospetto di complicità da parte del corpo diplomatico taiwanese, perché la richiesta della polizia di entrare nella zona sospetta è stata accolta, senza esitazioni.

Quello che le indagini sembrano aver provato finora è che il piano ha richiesto ingenti fondi e molte settimane di elaborazione, tanto che almeno quattro dei principali ex militari colombiani coinvolti avevano lasciato Bogotà diretti nella Repubblica dominicana oltre un mese fa.

Per quanto riguarda infine la brutale uccisione di Moise con 12 colpi d’arma da fuoco, è risultato ad uno degli interpreti del commando arrestato era stato detto e assicurato che l’obiettivo del blitz non era l’uccisione di Moise, ma la sua cattura “sulla base di un mandato della magistratura”.

(di Maurizio Salvi/ANSA).