Cittadinanza a Zaki, l’impegno di Parlamento e governo

Manifestazione a favore della libertà di Patrick Zaki.
Manifestazione a favore della libertà di Patrick Zaki. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

ROMA. – L’Italia invia un segnale all’Egitto su Patrick Zaki, sull’onda delle pressioni della società civile, delle organizzazioni internazionali, ma anche dei partiti. Una mozione della Camera che impegna il governo ad attivarsi per la concessione della cittadinanza allo studente di Bologna detenuto da 17 mesi al Cairo. La stessa mozione, già adottata in Senato, è stata accolta dall’esecutivo, e in questo modo potrà essere avviato l’iter procedurale: uno scatto in avanti, dopo mesi in cui le uniche novità sulla vicenda del giovane egiziano hanno riguardato soltanto le proroghe della sua custodia cautelare.

A Montecitorio la mozione pro-Zaki è stata approvata all’unanimità, con la sola astensione di Fratelli d’Italia. Nel documento si richiede al governo di “avviare tempestivamente mediante le competenti istituzioni le necessarie verifiche al fine di conferire a Patrick George Zaki la cittadinanza italiana”. E di “continuare a monitorare, con la presenza in aula della rappresentanza diplomatica italiana al Cairo, lo svolgimento delle udienze processuali a carico di Zaki e le sue condizioni di detenzione”, che Amnesty ha definito disumane.

Il sì alla cittadinanza italiana per Zaki – già richiesto dal Senato lo scorso aprile – ha ottenuto il consenso bipartisan dei partiti, a parte la formazione di Giorgia Meloni . “Ora che il Parlamento nella sua completezza si è pronunciato sta al Governo a fare la sua parte”, ha detto il segretario del Pd Enrico Letta. “Sarebbe un atto non solo simbolico”, ha sottolineato l’M5S Vittoria Casa.

“Il governo conduca una battaglia di libertà”, chiede Maria Elena Boschi di Iv. “Draghi rispetti la decisione del Parlamento”, è l’appello di Nicola Fratoianni, di Si. Per il forzista Ugo Cappellacci “serve un’azione diplomatica a tutto campo”. E il governo ha dato parere favorevole alla mozione sulla cittadinanza per Zaki. Che nel caso specifico (non essendo legata a vincoli familiari, ma ad un interesse eccezionale dello Stato) deve essere proposta dal Viminale, di concerto con la Farnesina, essere deliberata dal Consiglio dei Ministri e poi approvata dal Quirinale con la firma di un decreto presidenziale.

Finora, comunque, l’esecutivo sull’ipotesi cittadinanza è stato cauto. E pur riconoscendone la portata simbolica, e umanitaria, ha espresso dubbi che questa scelta possa essere avere effetti pratici per il rilascio dello studente. A Roma si è preferito evitare un ulteriore muro contro muro con il Cairo, ancora nel pieno della crisi scoppiata sul caso Regeni.

Sulla scorta di queste valutazioni, il governo finora si è mosso privilegiando la via diplomatica diretta con il Cairo, fuori dai riflettori, ma con una richiesta che non si presta ad equivoci: l’immediato rilascio di Zaki. Potendo contare sul sostegno politico dell’Ue, che attraverso l’europarlamento ha approvato una risoluzione di condanna contro l’Egitto per la repressione di diritti e delle libertà fondamentali.

Qualunque sia la soluzione della vicenda, la condizione di Zaki in carcere è sempre più insostenibile. Il 16 giugno lo studente dell’Università di Bologna ha compiuto 30 anni, trascorrendo il suo secondo compleanno in una cella del Cairo.

In detenzione preventiva per 17 mesi, con pochissime udienze, ha subito maltrattamenti e persino torture, secondo i suoi legali. Per un’accusa di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo (che potrebbe costargli 25 anni), sulla base in particolare di una decina di post Facebook provenienti un account, che però Patrick afferma non essere autentico.

Le sue condizioni fisiche e psichiche, nel frattempo, si sono fatte allarmanti, come denunciato più volte da Amnesty ed altre ong. E dalla sorella Marise, ancora più preoccupata perché “sicuramente non è stato vaccinato” contro il Covid. In questa situazione drammatica l’Italia, gettando sul tavolo la carta della cittadinanza, ha deciso di lanciare un segnale forte, e formale, rivolto al Cairo: che non è disposta a transigere sul rispetto dei diritti umani.

(di Luca Mirone/ANSA)