Corte costituzionale: no alla revoca dei sussidi ai mafiosi che scontano la pena fuori carcere

Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale, in un'immagine d'archivio.
Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale, in un'immagine d'archivio. ANSA/ ETTORE FERRARI

ROMA. – Anche ai mafiosi e ai terroristi indigenti vanno assicurati i mezzi per vivere. E quindi a quelli di loro che scontano la pena fuori dal carcere non si può cancellare il trattamento assistenziale di cui godono, fondato sul bisogno, e senza il quale resterebbero privi dei mezzi di sussistenza.

Perché è irragionevole che lo Stato valuti una persona meritevole di misure alternative alla detenzione e poi lo privi dei mezzi per mangiare, quando questi sono ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali. E il diritto all’assistenza per chi è in stato di bisogno, “deve essere comunque garantito a ciascun individuo, pur se colpevole di determinati reati”.

La Corte costituzionale depenna così dalla legge 92 del 2012 sulla riforma del mercato del lavoro due norme: quella che prevede che per una serie di gravi reati, a partire da quelli di associazione terroristica e mafiosa, il giudice nel pronunciare la condanna applichi anche la sanzione accessoria della revoca di prestazioni assistenziali, cioè l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili.

E quella che stabilisce che la revoca , con effetto non retroattivo, sia disposta dall’ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza divenuta definitiva all’entrata in vigore della legge.

A dubitare della legittimità di queste norme erano stati i tribunali di Fero e di Roma. E la Consulta – con la sentenza n 137, di cui è relatore il vicepresidente Giuliano Amato-ha stabilito che le disposizioni portate alla sua attenzione sono in contrasto con due articoli della Costituzione: il 3, che sancisce il principio di uguaglianza e di ragionevolezza e il 38 che prevede che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e che dunque pone a carico dello Stato e della collettività un dovere di solidarietà , che si concretizza in specifiche misure di assistenza economica,.

Secondo i giudici costituzionali lo Stato può modulare la disciplina delle misure assistenziali, ma “non può pregiudicare quelle prestazioni che si configurano come misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa”. E se è vero che i condannati per mafia e terrorismo “hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile”, è questa stessa convivenza civile a richiedere che a loro “siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere”.

(di Sandra Fischetti/ANSA)