Nuova era da stranieri per milioni di europei in Gran Bretagna

Un gruppo di italiani in un locale a Londra.
Un gruppo di italiani in un locale a Londra. Archivio.

LONDRA. – Arriva il primo luglio e inizia davvero, allo scoccare della mezzanotte, la nuova era del dopo Brexit per milioni di europei, fra cui tanti italiani: non senza ansie e incognite residue.

É il giorno fatidico in cui scadono i termini fissati dal governo britannico per aderire al registro digitale del Settled Scheme, istituito come unica garanzia di mantenimento dei diritti del passato per i cittadini Ue già mresidenti nel Regno Unito; e al di fuori del quale sussiste ormai il rischio di finire in una sorta di limbo giuridico, senza più tutele fondamentali come l’accesso pieno all’assistenza sanitaria o la possibilità di affittare una casa.

Anche gli ultimi appelli per un’estensione delle scadenza, lanciati dall’opposizione laburista e da gruppi in difesa dei cittadini comunitari, sono stati respinti dall’esecutivo Tory, che aveva già concesso un prolungamento di 6 mesi rispetto alla fine del periodo di transizione del 31 dicembre scorso.

Salvo la promessa, ribadita dal premier Boris Johnson nel Question Time del mercoledì, di assicurare i diritti acquisiti a tempo indeterminato a chi fosse ancora in attesa di una risposta: condizione in cui a inizio giugno si trovavano circa 400.000 persone, contro i ben oltre 5,2 milioni che avevano già ricevuto lo status dall’Home Office, il ministero dell’Interno (numero quasi doppio rispetto alle stime pre Brexit sugli expat continentali).

É proprio l’eventualità di trovarsi in una terra di nessuno, senza più garanzie fino all’addio a Bruxelles sancito dal referendum del 2016, a fare più paura. “Molti cittadini Ue non hanno ancora ricevuto il Settled Status o il pre-Settled Status, sono 400.000 le persone in attesa di un responso”, ha spiegato all’ANSA Elena Remigi, fondatrice di In Limbo Project, associazione no profit che aiuta i residenti Ue a districarsi nel post Brexit.

E l’impegno a garantire loro la possibilità di vivere e lavorare sull’isola con le tutele precedenti “a tempo indefinito” fino alla chiusura degli iter già avviati tranquillizza solo in parte. Per Remigi, “molti anziani, tra cui anche italiani, hanno fatto domanda cartacea, anziché online come da prassi. In questi casi, se il ‘certificate of application’ non è ancora arrivato, non vi è nulla per poter dimostrare l’avvenuta domanda”.

In base ai dati ufficiali del ministero dell’Interno britannico, su 5,6 milioni di domande di adesione al Settled Scheme, ve ne sono state oltre mezzo milione presentate da italiani: tanti, ma non tantissimi, tenuto conto che in passato s’ipotizzava una presenza di connazionali nel Regno attorno a quota 700.000.

“L’Home Office ha di recente offerto una proroga di 28 giorni per chi fosse in ritardo con la domanda dopo il 30 giugno, ma bisognerà dimostrare di avere motivi validi”, giustificazioni “comprovate” che nel caso di problemi di salute legati per esempio al Covid possono valere un’ulteriore estensione, ha notato Dimitri Scarlato, consulente dello sportello Inca-Cgil a Londra.

Avvertendo d’altronde che si tratterà di concessioni a discrezione delle autorità del Regno Unito. Anche per Scarlato, sono gli anziani e le persone vulnerabili quelli alla fin fine più a rischio di esclusione dallo status; oltre a certe famiglie che “si presentano da noi all’ultimo minuto ignorando di dover registrare pure i figli”.

Mentre non manca chi si è mosso con largo anticipo come Pietro, che lavora alla City da più di un quinquennio e ha ottenuto il suo certificato digitale di residenza compilando la domanda online in meno di 24 ore: “Devo dire la verità – il suo racconto – seguendo le istruzioni è stato tutto piuttosto semplice; di sicuro mi ha facilitato l’essere in regola col fisco in tutti gli anni di residenza”.

Sono viceversa i freelance, fra cui schiere di giovani italiani arrivati a Londra negli anni scorsi per fare un’esperienza ma senza contare su un impiego certo, coloro che hanno incontrato più difficoltà e reperire i documenti richiesti dai funzionari dell’Home Office come pezze d’appoggio a dimostrazione di una presenza stabile pre Brexit oltre Manica.

Fra questi la bolognese Maria, 30 anni, la quale come tanti affolla in queste ore i gruppi Facebook spuntati come funghi per condividere informazioni e apprensioni: in una Gran Bretagna che a più d’uno appare oggi meno aperta e accessibile che mai.

Come sostiene il deputato di Italia Viva Massimo Ungaro, eletto nella circoscrizione estero e per molti anni residente in riva al Tamigi: “Fa un certo effetto – la sua chiosa -, prima della Brexit pensavamo di vivere nel Regno come a casa nostra in quanto europei, in uno dei posti più cool e dinamici dell’Unione. Ora siamo a tutti gli effetti cittadini di Paesi terzi”. Da domani, “stranieri” o quasi.

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