Dopo vent’anni l’ultimo militare italiano lascia l’Afghanistan

S è conclusa ufficialmente la missione italiana in Afghanistan. Con il rientro dell'ultimo uomo del contingente italiano, è terminato in totale sicurezza un imponente sforzo logistico e operativo condotto con puntualità e sicurezza dalle nostre Forze Armate
S è conclusa ufficialmente la missione italiana in Afghanistan. Con il rientro dell'ultimo uomo del contingente italiano, è terminato in totale sicurezza un imponente sforzo logistico e operativo condotto con puntualità e sicurezza dalle nostre Forze Armate, Roma, 30 Giugno 2021. ANSA/US

ROMA. – Dire missione compiuta sarebbe peccare di ottimismo. Con il mese di giugno del 2021 si conclude comunque l’impegno militare italiano in Afghanistan, durato 20 anni, attraverso le operazioni Enduring Freedom, Isaf e, dal 2015, Resolute Support: ben 50mila gli uomini e le donne in divisa avvicendatisi in quest periodo.

Un impegno pesante, come ha ricordato il ministro dell’Interno, Lorenzo Guerini, che oggi ha voluto ricordare “con gratitudine” i 723 feriti e le 53 vittime, “che hanno perso la vita al servizio della Repubblica e per portare stabilizzazione e pace”.

Gli italiani sono rientrati in sinergia con gli altri contingenti Nato, dopo l’accelerazione dei tempi del ritiro impressa dal presidente Usa Joe Biden, che ha voluto riportare a casa i soldati americani entro la data simbolica del 4 luglio, in anticipo, dunque, rispetto a quella dell’11 settembre inizialmente fissata a 20 anni dall’attacco alle Twin Towers. Isaf – conclusa nel 2014 – è stata la più lunga e impegnativa missione dell’Alleanza Atlantica, che ha visto schierati nel periodo di massimo coinvolgimento ben 130mila militari di 50 nazioni.

Gli ultimi italiani della brigata Folgore che erano rimasti ad Herat – l’area di competenza del contingente nazionale, nell’ovest dell’Afghanistan – sono atterrati nella tarda serata di ieri all’aeroporto di Pisa con il comandante, il generale Beniamino Vergori. Un ritiro lampo, dunque, iniziato l’1 maggio e portato a termine in due mesi, che ha coinvolto oltre 800 militari e 145 mezzi con voli quotidiani sulla rotta Afghanistan-Italia.

L’ammaina-bandiera alla base di Camp Arena c’era stato lo scorso 8 giugno, con la visita di saluto del ministro Guerini. Ora l’area, all’interno di un enorme compound nel mezzo del deserto, sarà gestita dalle forze di sicurezza afghane che i militari italiani hanno contribuito ad addestrare in questi anni. Il rischio che la sabbia si riprenda presto prefabbricati e recinti allestiti dalle forze alleate è alto, così come quello che Talebani ed Isis facciano fallire lo sforzo del presidente Ashraf Ghani.

Guerini assicura però che “non termina l’impegno della comunità internazionale, Italia in primis, per l’Afghanistan che continuerà in altre forme, a partire dal rafforzamento della cooperazione allo sviluppo e al sostegno alle istituzioni repubblicane afghane”. Peraltro, solo ieri il comandante di Resolute Support, il generale americano Austin Miller, ha parlato di preoccupazione concreta di una guerra civile in relazione all’offensiva dei talebani che hanno ripreso circa 100 centri distrettuali in tutto il Paese.

Nel frattempo, è in corso l’operazione Aquila, che dà anche un’idea del clima che si respira in un Afghanistan ora privo dell’ ‘ombrello’ Nato. Circa 270 civili afghani che hanno lavorato alla base italiana – come interpreti, autisti, baristi, ecc. – insieme alle loro famiglie saranno accolti in Italia con un permesso di soggiorno. Troppo pericoloso per loro rimanere in Patria, dove finirebbero nel mirino dei talebani per aver ‘collaborato con il nemico’.

(di Massimo Nesticò/ANSA)

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