Covid: nuovi focolai Asia, si aggrava crisi chip

Controlli sul virus in un ospedale di Taipei .
Controlli sul virus in un ospedale di Taipei . EPA/DAVID CHANG

ROMA. – Dopo gli allarmi lanciati dai produttori internazionali e dai governi, rischia di aggravarsi la crisi mondiale dei semiconduttori bene primario per l’industria tecnologica, dai telefoni alle tv,  e automobilistica, messe a dura prova dalla pandemia tanto che una grande azienda come Toyota ha deciso per un periodo limitato a giugno lo stop della produzione in alcuni stabilimenti.

La causa sono i nuovi focolai di Covid-19 in Asia, in particolare a Taiwan e Malesia, sede di aziende chiave del settore che stanno rallentando nuovamente la produzione per contagi e quarantene.

Secondo il Wall Street Journal a Taiwan si contano oltre duecento casi al giorno e il livello di allerta nel Paese è molto alto. L’isolamento degli infetti e di coloro che sono entrati in contatto è fondamentale per il contenimento, ed è per questo che la King Yuan Electronics Co., la principale azienda produttrice di chip dell’isola si trova a corto di personale e si stima che la produzione di questo trimestre sarà circa un terzo di quella inizialmente prevista.

La filiera dei semiconduttori a rilento anche in Malesia: la pandemia ha costretto i lavoratori a restare a casa e l’associazione che riunisce i produttori del paese ha riportato una diminuzione dei pezzi prodotti compresa tra il 15% e il 40%.  Al momento invece non vengono segnalate interruzioni alla Tsmc, azienda leader che lavora per giganti come Apple, Amd e Qualcomm.

Ad aprile scorso era stata proprio Qualcomm a suggerire che il problema di disponibilità dei semiconduttori potrebbe durare per tutto il 2022. A queste previsioni si sono poi aggiunte quelle di Acer e Intel che hanno esteso il periodo di disagi fino al 2023.  Quest’ultima azienda ha annunciato l’intenzione di investire 20 miliardi di dollari per costruire due nuove fabbriche di chip in Arizona, mentre Samsung prevede di costruire una fabbrica di chip da 17 miliardi di dollari sia in Corea del Sud sia negli Stati Uniti.

Il problema è così sentito che a maggio il presidente Usa, Joe Biden, ha partecipato ad una riunione di colossi della tecnologia e dell’auto per studiare un piano di aiuti che consenta anche di affrancarsi dall’Asia e in particolare dalla Cina. Pechino, infatti, sta rastrellando e aumentando le scorte di microchip, a dispetto della carenza.

Secondo il South China Morning Post, le importazioni cinesi di semiconduttori sono salite ai massimi storici a marzo toccando la cifra record di 58,9 miliardi di unità di microchip, per un valore di 35,9 miliardi di dollari.

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