Navalny e i suoi al bando come estremisti, ira Usa e Ue

L'attivista oppositore russo Alexei Navalny in una foto d'archivio di dicembre 2019.
L'attivista oppositore russo Alexei Navalny agli arresti, in una foto d'archivio EPA/SERGEI ILNITSKY

MOSCA.  – Il caso Navalny (ri)esplode proprio durante il viaggio europeo di Joe Biden e a pochi giorni dell’atteso incontro con Vladimir Putin. Il tribunale della città di Mosca ha infatti etichettato le organizzazioni di Navalny come “estremiste”, facendo così scattare l’affilata tagliola appena varata dal Parlamento – il pacchetto di misure draconiane che liquidano dalla scena politica tutto l’organigramma costruito da Navalny negli ultimi 15 anni.

L’Occidente, chiamato a raccolta dal presidente Usa al G7 di Cornovaglia, ha subito espresso in varie forme il suo sconcerto. E lui, la nemesi di Putin, ha risposto con l’ennesima indagine occhio per occhio che proverebbe definitivamente lo zampino del Cremlino nell’avvelenamento al Novichok.

Ma andiamo con ordine. Intanto il processo. Dopo mesi di dibattimento a porte chiuse (per la presenza di materiale classificato tra gli atti) la corte ha stabilito che sì, le organizzazioni di Navalny – sia il Fondo Anti-Corruzione che la Fondazione per la Protezione dei Diritti dei Cittadini, già considerate agenti stranieri – sono da considerarsi “estremiste” poiché, “con il pretesto di slogan liberali, sono impegnate a creare le condizioni per la destabilizzazione sociale e sociopolitica” della Russia. Eversive, dunque.

Ecco allora dispiegarsi l’intera forza del pacchetto anti-Navalny, opportunamente entrato in vigore la settimana scorsa. Chiunque abbia “sostenuto” queste sigle negli scorsi 12 mesi a partire dal 9 giugno (il termine è vaghissimo, include l’aver preso parte a una manifestazione non autorizzata e persino aver condiviso un post) sarà escluso dalla partecipazione alle elezioni di ogni ordine e grado per tre anni.

Nel caso di donazioni, anche micro, si rischiano 10 mila dollari di multa e fino a otto anni di prigione. Stessa cosa per i dipendenti delle organizzazioni. Per i dirigenti, invece, l’esclusione alle elezioni è maggiorata a cinque anni. Divieto assoluto poi di ricreare la stessa organizzazione, per finalità, con altro nome o status.

Il colpo è mortale, mira alla giugulare. Anche perché la sentenza mette in dubbio persino l’agibilità dello Smart Voting messo in campo da Navalny, ovvero la piattaforma che per ogni seggio calcola quale candidato di qualsiasi schieramento, compresi gli indipendenti, abbia più probabilità di battere il rappresentante di Russia Unita, il partito di Putin. Un giochino che ha avvantaggiato molto di recente i Comunisti. Bene. Chi riceve l’endorsement potrebbe essere ora incluso, per estensione, nella lista nera degli estremisti? É possibile.

Sui social, appena è uscita la sentenza, Navalny ha promesso di mvoler “continuare la battaglia, in ogni modo”. Ma è retorica. Usa, Ue e Regno Unito hanno definito la mossa, a turno, come “inquietante”, “repressiva” e “kafkiana”. Però la fatwa c’è, è agli atti. Messaggio inequivocabile che Putin, con Biden, è disposto a negoziare di molto ma non di tutto, di certo non ciò mche Mosca considera quinta colonna dell’Occidente in patria. Con mbuona pace per le libertà di base.

In questo quadro, già di per sé teso, s’innesta l’ultima zampata di Navalny. I suoi legali, con uno stratagemma, sono riusciti a fotografare la sua cartella clinica lo scorso novembre, a Omsk, per poi ottenerla, in via ufficiale, un mese dopo. I due faldoni sono simili ma diversi. In particolare manca un’analisi chiave, fatta il 25 agosto 2020, sul livello della colinesterasi (bassissimo).

“Le varie diagnosi sul metabolismo, la pancreatite e altri disturbi naturali alla sua salute sono assurde”, si legge nell’inchiesta. Quell’analisi sarebbe l’impronta digitale dell’avvelenamento da organofosfati, il gruppo a cui appartengono i composti al nervino come il Novichok. Insomma, era già tutto lì. Il resto è teatro. Meglio, “desinformazia”. Perché poi lo staff di Navalny abbia aspettato a pubblicare la pistola fumante sino ad oggi, rientra nella strategia di guerriglia mediatica di cui sopra. L’ultima rimasta.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA).