WASHINGTON. – “Basta differenze sui risarcimenti basati sulla razza”: la Nfl, la maggiore lega professionistica di football americano, ha annunciato che nelle cause per i traumi cerebrali non userà più la formula finora consolidata secondo cui i giocatori afroamericani (la maggioranza in questo sport) hanno un più basso livello di funzioni cognitive rispetto a quelli bianchi. Formula che consentiva di pagare indennizzi inferiori agli atleti di colore, ritenuti “meno intelligenti”. La Nfl si è impegnata anche rivedere i casi che sono stati risolti in questo modo.
Finora oltre 2000 ex giocatori hanno fatto causa per demenza, ma meno di 600 hanno ricevuto compensazioni. La svolta è arrivata dopo che due ex atleti afroamericani, Kevin Henry e Najeh Davenport, si sono visti rifiutare un risarcimento per i traumi subiti e hanno intentato una causa per violazione dei diritti civili contro questa prassi discriminatoria.
“Classico razzismo sistemico”, ha accusato uno di loro. In marzo il giudice aveva respinto l’istanza invitando le parti a trovare un accordo ma aveva chiesto anche un rapporto completo sulle accuse di pregiudizi razziali. La Nfl ha preferito abbandonare la controversa prassi.
Fino ad oggi la Lega confrontava i risultati dei test cognitivi usando una norma legata ai gruppi demografici. In base a questa metodologia, si assume che i giocatori di colore abbiano un livello cognitivo inferiore a quello medio dei compagni bianchi. In tal modo per ottenere un indennizzo un atleta afroamericano deve dimostrare di avere un maggiore declino cognitivo rispetto ad uno bianco.
“É razzismo puro. Solo per il fatto che sono afroamericano, non significa che sono mnato con meno cellule cerebrali”, ha commentato Ken Jenkins, un mgiocatore in pensione che ha sostenuto questa battaglia legale.
La “race-norming” fu stabilita negli anni ’90 partendo dalla premessa che i fattori socio-economici influiscono sulla salute mdi una persona e fu usata per quantificare i risarcimenti legati magli effetti dei ripetuti traumi cranici subiti dai giocatori di mfootball, come l’encefalopatia cronica.
Effetti svelati pienamente solo negli ultimi anni, in particolare dopo uno studio-shock pubblicato sul prestigioso Journal of the American Medical Association (Jama): su 111 cervelli di ex giocatori della Nfl donati alla scienza, tutti tranne uno mostravano avere i segni dell’encefalopatia, in molti casi gravi. I detrattori della normazione razziale obiettano che un piccolo campione di afroamericani a San Diego che prese parte allo studio iniziale dello psichiatra Robert Heaton non rappresenta pienamente la black community in Usa, allora come oggi.
In passato la Nfl aveva difeso la sua prassi affermando che gli standard si fondavano su “test cognitivi e metodologie di punteggio largamente accettati e stabiliti da lungo tempo”, aggiungendo che l’adozione della norma non era obbligatoria ma a discrezione dei medici chiamati come periti. Ora però sembra adeguarsi al nuovo clima anti razzismo dell’America di Biden, dopo le ondate di protesta legate a George Floyd e la battaglia del quarterback Colin Kaepernick, che si inginocchiava durante l’inno contro le iniquità razziali facendo infuriare Donald Trump.
(di Claudio Salvalaggio/ANSA).