Ex Ilva: Taranto chiude coi veleni, ma resta l’incognita del futuro

Un'immagine dello stabilimento Ilva a Taranto,
Un'immagine dello stabilimento Ilva a Taranto, 25 settembre 2013. ANSA / CIRO FUSCO

TARANTO. – La sentenza di primo grado del processo “Ambiente Svenduto” riguarda il passato, ma potrebbe avere anche pesanti riflessi sul futuro dello stabilimento ex Ilva di Taranto. La Corte d’Assise ha infatti disposto, oltre alla condanna di 26 imputati (tra le 44 persone fisiche finite sotto processo), sanzioni pecuniarie per le tre società Ilva, Riva Fire e Riva Forni elettrici e la confisca degli impianti dell’area a caldo.

Chiaramente il provvedimento non è immediatamente esecutivo perché bisognerà attendere gli altri due gradi di giudizio. Ma diventa una spada di Damocle sulle ambizioni di rilancio del polo siderurgico anche perché è imminente la pronuncia del Consiglio di Stato sulla sentenza del Tar di Lecce che il 13 febbraio scorso ha disposto la fermata dell’area a caldo in ottemperanza all’ordinanza sulle emissioni del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci.

Le due vicende giudiziarie sono importanti anche perché nell’accordo tra Invitalia e ArcelorMittal, che ha sancito la partnership pubblico-privata, sono previste condizioni sospensive fissate dal gruppo franco-indiano, in grado di far saltare l’intesa, ovvero la revoca dei sequestri penali sull’acciaieria e l’assenza di misure restrittive nei confronti di Acciaierie d’Italia o sue consociate.

Il processo Ambiente Svenduto ha messo sotto accusa l’inquinamento prodotto dal Siderurgico di Taranto durante la gestione della famiglia Riva (il periodo 1995-2012) e le contestazioni della procura, tra cui il disastro ambientale e l’avvelenamento delle acque, hanno portato a pesanti condanne della proprietà e dei vertici dell’epoca e di una parte del mondo politico che ha avuto a che fare con l’Ilva.

Il giorno dopo la sentenza Taranto si divide tra la soddisfazione di cittadini e associazioni che hanno denunciato per anni le conseguenze delle emissioni inquinanti e l’incognita per il futuro. Perché fa paura la possibile perdita di posti di lavoro nel più grande stabilimento siderurgico d’Europa, che occupa oltre 8.100 dipendenti diretti (questa mattina l’azienda ha comunicato altra cassa integrazione ordinaria dal 28 giugno e per 12 settimane per un un numero massimo di 4mila lavoratori), a cui si aggiungono 6mila operai dell’appalto.

Non si placano, intanto, le polemiche sulla condanna per concussione (a tre anni e mezzo ) dell’ex governatore pugliese Nichi Vendola che ieri ha parlato di “giustizia che calpesta la verità”, di “un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova”, annunciando battaglia contro “questa carneficina del diritto e della verità”.

L’Associazione nazionale magistrati gli ha risposto reclamando “il rispetto delle istituzioni”. “Appellare come carneficina del diritto – dice l’Anm – la decisione di coloro che hanno reso un provvedimento giurisdizionale non è conforme allo stile comunicativo cui dovrebbero sempre adeguare le proprie esternazioni coloro che ricoprono o che hanno ricoperto importanti ruoli istituzionali”.

A difesa di Vendola si schierano anche il segretario del Pd , Enrico Letta, e il responsabile Enti locali del Partito, Francesco Boccia, (che per due volte fu suo antagonista nelle primarie per la candidatura alla presidenza della Regione).

“Andrò a Taranto fra dieci giorni, per dare il segno del futuro – ha detto Letta – Quella è una vicenda complicata, bisogna trovare insieme uno sguardo sul futuro per fare sì che sia tutto sostenibile. C’è bisogno di un acciaio green. Credo nella buonafede di Vendola. Non do giudizi sulla giustizia, che fa il suo corso, ma credo nella buonafede di Vendola”.

Boccia rammenta invece “l’arroganza dei Riva e il comportamento da ignavi di gran parte della classe politica. Le urla di dolore delle famiglie che respiravano quell’aria c’erano anche allora”. “Tra gli ignavi – ribadisce Boccia – non c’è mai stato Vendola, che si è battuto”.

Il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti ricorda che la sentenza “è il frutto di una lunga lotta partita nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina” e annuncia un nuovo esposto alla Procura: “Prossimo passo – dice – Ambiente Svenduto bis”. Per l’associazione Genitori Tarantini, infine, “la giustizia deve essere realizzata a prescindere dalle conseguenze. ‘Fiat justitia ruat caelum’, dicevano i Latini. Sia fatta giustizia anche se i cieli cadono. Ieri, a Taranto, sono caduti i cieli. Finalmente”.

(di Giacomo Rizzo/ANSA)

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