Morabito-Tamunga, il narcos della ‘ndrangheta

Il boss della 'Ndrangheta Rocco Morabito, in una foto d'archivio.
Il boss della 'Ndrangheta Rocco Morabito, in una foto d'archivio. ANSA/POLIZIA .

REGGIO CALABRIA. – E’ soprannominato “Tamunga”, in ricordo degli anni giovanili quando amava scorrazzare sulle spiagge della Locride a bordo di un fuoristrada militare “Auto Munga”. L’ex latitante Rocco Morabito, inserito nell’elenco dei 10 latitanti più pericolosi stilato dal Viminale, è da molti anni ritenuto un pezzo da novanta della ‘ndrangheta di Africo, in provincia di Reggio Calabria.

Cugino di secondo grado del boss Giuseppe Morabito detto “il Tiraddritto”, e imparentato con fratelli Domenico Leo e Giovanni Morabito soprannominati gli “Scassaporte”, Tamunga è considerato uno dei più importanti narcotrafficanti internazionali. Il suo profilo criminale gli ha consentito di trascorrere da latitante gran parte della sua vita.

La prima volta dal 1994 al 2017 quando è stato catturato in Uruguay, in un hotel di lusso nella località di Punta del Este dove non si faceva mancare nulla: dalla villa con piscina a una Mercedes, passando per 13 cellulari, 12 carte di credito e un passaporto brasiliano intestato a un sedicente imprenditore, Francisco Antonio Capeletto Souza.

La sua detenzione, però, ebbe breve durata: appena due anni. Nel 2019 si diede di nuovo alla macchia. Scavando un tunnel, infatti, Morabito riuscì ad evadere dal carcere “Central” di Montevideo, poco prima di essere estradato in Italia dove deve scontare ancora 30 anni di carcere, inflitti dalla Corte d’Appello di Milano, per associazione mafiosa e traffico internazionale di cocaina.

Per comprendere il personaggio, però, bisogna fare un salto di 30 anni. Gli Ottanta e i Novanta, infatti, hanno segnato la sua carriera e gli hanno permesso di scalare le gerarchie della ‘ndrangheta. Nel 1984, a 17 anni, Tamunga è stato denunciato per interruzione di pubblico servizio. Era il periodo in cui studiava all’università di Messina dove nel 1988 venne pure arrestato, e poi assolto, per minacce a un docente universitario.

Stando a una nota dei carabinieri di Bologna, invece, in Emilia gestiva le quote di una società a cui venivano intestate auto e utenze telefoniche in uso agli affiliati alla cosca di Africo. Leo Morabito, suo fratello, è stato ucciso in un attentato nel 1989. L’anno dopo, invece, sempre nella Locride, è toccato a lui subire un agguato dal quale riuscì a uscire senza gravi conseguenze.

Qualcuno sparò alla caviglia dell’ex latitante ormai proiettato sempre di più a Milano dove, all’inizio degli anni Novanta, si era ritagliato uno spazio sempre più importante nel traffico internazionale di droga. In quel periodo il giovane partito dalla Locride è entrato in contatto con i narcos sudamericani ma anche con esponenti di primo piano della Camorra.

Un giorno, infatti, è stato identificato dalle forze dell’ordine a Baia Domizia di Sessa Aurunca, mentre era in compagnia del boss e narcotrafficante camorrista Alberto Beneduce, detto “A cocaina”, trovato poche settimane dopo carbonizzato nel bagagliaio di un’auto.

Capace di muoversi dall’Italia al Sud America con estrema facilità, Rocco Morabito, nel luglio 1992, finì in manette ad opera della Polizia di Fortaleza, in Brasile. Rimesso in libertà e tornato in Calabria, nel 1994 venne denunciato per associazione a delinquere prima di darsi latitante e sfuggire a due ordinanze di custodia cautelare emesse dal Tribunale di Milano e a un provvedimento di arresto del gip di Palermo.

In Sicilia il processo a suo carico si è concluso nel 2000 con una condanna a 30 anni per traffico di droga, mentre a in Lombardia è stato condannato, nel 2001, a 22 anni di carcere. Altri 10 anni di reclusione, infine, gli sono stati inflitti dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

(di Lucio Musolino/ANSA)

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