Migrante suicida nel Cpr di Torino: “Non è stato aiutato”

Migrante suicida al Cpr di Torino.
Migrante suicida al Cpr di Torino.

TORINO. – Continuava a ripetere “cosa ci faccio qui se sono io ad essere quello picchiato?”. Ora si affaccia un’ipotesi: Moussa Baldi, migrante dalla Guinea, morto suicida a 23 anni nel Cpr di Torino, non ha ricevuto l’aiuto psicologico di cui aveva assoluto bisogno. Lo dice Mauro Palma, garante nazionale per i diritti dei detenuti; lo ribadisce Gian Luca Vitale, l’avvocato torinese che curava le pratiche giudiziarie per il giovane:

“Era stato aggredito a Ventimiglia – spiega il legale – era stato rimbalzato tra l’ospedale e gli uffici della polizia e poi era stato mandato al Cpr. Era spaesato, avvilito. Ma qui, per quanto si siano resi conto che stava male, non ha ricevuto nessun supporto”.

La procura di Torino ha acceso un faro sulla vicenda. Non ci sono dubbi, almeno per adesso, sul gesto anticonservativo. Ma l’avvocato Vitale si chiede se il suo assistito sia stato seguito con tutti i crismi: ha anche interpellato uno specialista che gli ha parlato di probabili sintomi da disturbo post traumatico da stress.

Il 9 maggio Moussa era stato pestato davanti a un supermercato a Ventimiglia. “Stavo chiedendo l’elemosina – disse – e una signora si era tirata indietro. Un secondo dopo, un uomo che da qualche tempo si trovava lì mi è saltato addosso. Poi sono arrivati gli altri”. Si erano messi in tre con calci, pugni e un tubo di plastica e il pesante stelo di un posacenere usati come spranghe.

La polizia aveva individuato gli aggressori (due siciliani di 28 e 29 anni originari di Agrigento e un 44enne calabrese di Palmi, tutti domiciliari a Ventimiglia) e li aveva denunciati a piede libero. Moussa, invece, era finito al Cpr di Torino perché irregolare. Sabato scorso lo avevano trasferito nella sezione chiamata in gergo ‘Ospedaletto’, in isolamento, dove si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo.

“Diceva che nel suo Paese non poteva tornare perché lo avrebbero ucciso”, racconta da Imperia un amico. Moussa era arrivato in Italia con un barcone nel 2017, aveva chiesto asilo politico e in sei mesi aveva imparato l’italiano e preso il diploma di terza media a un centro di formazione territoriale per adulti.

Forse scoraggiato dalle lunghe attese per ottenere la regolarizzazione, andò in Francia, ma ci rimase poco. Tornò in Liguria e prese a vivere alla giornata. “Era molto intelligente ma anche tormentato, impaziente. Sognava una vita in Italia, un lavoro. E’ probabile che si sia scontrato con la realtà e che questo gli abbia provocato un crollo psicologico”.

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