Nuovo fisco Ue post-Covid, tassa su multinazionali

Il commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni
Il commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni (ANSA / TIBERIO BARCHIELLI) PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI

BRUXELLES.  – Ripensare il fisco per superare la pandemia con nuove forze e darsi regole a prova di futuro. Dopo anni di lotta ai tax ruling illegali e con la batosta del Covid che si farà sentire ancora per anni sulle casse europee, per Bruxelles è arrivato il momento di riequilibrare il carico fiscale in un sistema comune ancora troppo frammentato, rispolverando e aggiornando il suo cavallo di battaglia: una tassa sulle multinazionali per sbarrare la strada a quelle che corrono tra le braccia degli Stati membri che hanno regimi fiscali più vantaggiosi.

Perché, anche nel nome della solidarietà “obbligata” imposta dalla pandemia, è ora che gli Stati membri “smettano” di danneggiarsi l’uno l’altro, ha riassunto il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni.

Nelle idee della Commissione Ue, la nuova tassazione per le imprese deve essere degna del 21esimo secolo, adattandosi alle sue priorità, ambiente e digitale su tutte. Per le multinazionali si tratta di trovare per la prima volta una ripartizione equa dei diritti di tassazione tra i Paesi Ue per combattere l’elusione fiscale e finanziare il Next Generation EU.

Fuori dunque la vecchia proposta di una base imponibile comune (anche conosciuta come Ccctb), e dentro, entro il 2023, un nuovo quadro fiscale societario (Befit).

In una sorta di guerra degli acronomi, il nuovo piano vuole prendere le parti migliori della Ccctb, ferma sul tavolo degli Stati membri dal 2016 e ben lontana dal raccogliere il consenso unánime necessario per la sua approvazione, e degli sforzi internazionali dell’Ocse per stabilire una tassa minima sulle società.

Sfruttando lo slancio impresso ai negoziati dall’amministrazione di Joe Biden, favorevole a un nuovo modelo per tassare le aziende, incluse le Big della Silicon Valley, sulla base delle vendite realizzate in ogni singolo Paese, a prescindere dalla loro presenza fisica.

Ciò significa che in Europa le multinazionali sarebbero tassate dove generano i profitti e non soltanto dove hanno la sede. Ma non solo: i profitti sarebbero anche consolidati e condivisi in tutta l’Unione con una base imponibile comune definita da una formula.

Obiettivo: evitare nuovi accordi e vecchie pratiche che continuano a permettere se non a favorire l’elusione fiscale delle imposte sulle società. Che, stando alle stime Ue, oggi costa agli Stati membri tra i 35 e i 70 miliardi l’anno.

Ai quali si aggiungono circa 50 miliardi di euro di perdite per le frodi transfrontaliere sull’Iva e 46 miliardi per l’evasione internazionale da parte di individui.  Ben più di un tesoretto, in tempi di ripresa dal trauma della pandemia e riflessioni su come ripagare l’emissione di debito comune del Next Generation Eu.

Grande assente resta per ora una aliquota comune, ancora in fase di negoziazione all’Ocse. Washington ha proposto una soglia del 21% ma sono da vincere le resistenze delle diverse capitali europee dai regimi vantaggiosi, dall’Irlanda ai Paesi Bassi, passando per Lussemburgo e Belgio, dimora in Europa di tante “big” come i giganti del tech Apple e Facebook.

Ma con la pandemia il clima è cambiato. E Bruxelles vuole fare in fretta: già l’anno prossimo, le grandi società che operano nell’Ue dovrebbero pubblicare la loro aliquota fiscale effettiva. E ulteriori misure di trasparenza sono previste contro le società di comodo, chiamate a dimostrare di non essere  delle coperture.

Davanti alla sfida del Green Deal servirà poi compensare la necessaria riduzione del costo del lavoro con un prelievo in difesa dell’ambiente: la riforma della direttiva sulla tassazione dell’energia e del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, in nome del principio “chi più inquina, più paga”, è attesa già per luglio.

(di Valentina Brini/ANSA).

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