Israele attacca Gaza con i raid e le truppe di terra

Truppe israeliane al confine con Gaza.
Truppe israeliane al confine con Gaza. (ANSA)

TEL AVIV, 14 MAG – Truppe israeliane sono entrate stanotte a Gaza per un attacco di terra contro le postazioni di Hamas bersagliate negli ultimi giorni da pesantissimi raid aerei dopo la pioggia di razzi verso lo Stato ebraico.

“Ho detto che avremmo fatto pagare un prezzo molto alto ad Hamas. Lo facciamo e continueremo a farlo con grande intensità.

L’ultima parola non è stata detta e questa operazione proseguirà per tutto il tempo necessario”, ha scritto il premier israeliano Benyamin Netanyahu in un messaggio pubblicato su Twitter dopo l’annuncio dell’esercito dell’avvio delle operazioni di terra, accompagnate da nuovi raid. Il portavoce militare Jonathan Conricus ha precisato che i soldati sono pentrati dal nord della Striscia, senza tuttavia dare particolari sulla quantità di forze impegnate nell’enclave palestinese.

Le forze israeliane hanno comunque ordinato a chiunque si trovi in territorio israeliano entro 4 km dalla frontiera di entrare in un rifugio e di restarvi “fino a nuovo ordine”.

Di fronte all’ennesima escalation del conflitto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato convocato per domenica.

Per tutta la giornata di ieri Israele aveva continuato ad ammassare le truppe al confine con la Striscia e a richiamare altri riservisti, facendo presagire l’imminenza di un’operazione di terra, evocata a più riprese dallo stesso esercito.

La guerra con Hamas – mentre continuano i raid e il lancio di razzi su Tel Aviv e vicino agli aeroporti israeliani – scivola così in uno scontro diretto sul campo dopo essersi aggravata nella serata di ieri di un altro dramma: un’intera famiglia, compresi quattro bambini e la madre incinta, è rimasta uccisa in un pesante bombardamento israeliano nella zona di Sheikh Zayed, nel nord di Gaza, che ha provocato almeno 11 morti e 50 feriti, secondo la ricostruzione dell’agenzia palestinese Wafa.

Al quinto giorno di conflitto le chance di un cessate il fuoco imminente appaiono ridotte al lumicino. La comunità internazionale, malgrado gli appelli alla de-escalation e qualche timido tentativo di mediazione, sembra assistere impotente. E non è servito da deterrente per l’operazione di terra neanche la grave situazione che Israele sta affrontando al suo interno, con le violenze incessanti tra ebrei ed arabi: un secondo fronte imprevisto e foriero di sviluppi devastanti.

Finora dalla Striscia sono piovuti su Israele circa 1.600 razzi, anche di nuova concezione, accompagnati dalla novità dei droni esplosivi. Razzi che hanno bersagliato il sud e le zone centrali del Paese. L’aviazione ebraica ha risposto con centinaia di attacchi, soprattutto contro la catena di comando e di intelligence di Hamas e della Jihad e contro i lanciatori di missili anti tank.

In particolare è stata centrata una struttura dei servizi di Hamas con “dozzine di terroristi operativi” all’interno. Un edificio, hanno spiegato ancora i militari, che serviva come comando principale per la sua rete di sorveglianza.

Il bilancio, secondo il ministero della Sanità di Gaza, è salito ad oltre 100 morti (compresi 27 bambini), con oltre 500 feriti.

Hamas, hanno sottolineato gli esperti, sta mostrando una crescente e innovativa capacità di fuoco, usando tra l’altro – come ha rivelato Abu Obeida, portavoce delle Brigate al-Qassam, ala militare dell’organizzazione – i nuovi razzi denominati “Ayash250”, che avrebbero una gittata di 250 chilometri. Sono questi ad essere stati lanciati verso l’aeroporto internazionale Ramon, a nord di Eilat, e piuttosto distante dalla Striscia.

Minaccia che ha portato le maggiori compagnie aeree europee e americane a sospendere i voli per l’aeroporto Ben Gurion almeno fino a sabato.

Ma a preoccupare la leadership israeliana sono anche – o forse soprattutto – le violenze che da giorni, a partire dagli scontri di Gerusalemme, stanno infiammando le città miste con una vera e propria caccia all’uomo tra ebrei e arabi e tentati linciaggi da entrambe le parti.

Il ministro della Difesa Benny Gantz ha quindi ordinato “un massiccio rinforzo” delle forze di polizia nel tentativo di raffreddare “gli attacchi contro civil ebrei ed arabi”. “Siamo in stato di emergenza”, ha detto Gantz, che ha disposto il rinforzo di 10 battaglioni della polizia di frontiera. “Nessun soldato – ha tuttavia precisato – sarà coinvolto in queste attività, visto che non fanno parte della missione dell’esercito”.

Una politica non condivisa dal premier Benyamin Netanyahu che invece da Lod – cittadina scintilla delle violenze – ha annunciato che per sedare i disordini Israele potrebbe “fare ricorso ad arresti amministrativi (ossia non convalidati da un giudice, ndr) ricorrendo anche ai soldati, come peraltro avviene anche in altri Paesi”.

Fatto sta che i disordini continuano a dilagare da sud a nord: da Bat Yam a Haifa, da Tiberiade al Negev alla periferia di Tel Aviv, fino ad Acco (S.Giovanni d’Acri), dove nei giorni scorsi è stato appiccato il fuoco ad uno dei più famosi ristoranti della città, “Uri Buri”, di proprietà di un ebreo. Lo stesso è avvenuto per negozi e proprietà arabe. Una spirale difficile da contenere.

Sul fronte politico infine sembra allontanarsi un governo di unità anti-Netanyahu. Il leader di Yamina Naftali Bennett stasera ha escluso di poter far parte di un esecutivo con Yair Lapid. Secondo alcuni media anzi Bennett riprenderà i colloqui proprio con il Likud di Netanyahu.

La decisione pare legata proprio ai disordini tra arabi ed ebrei: al governo alternativo a Netanyahu si accreditava la possibilità che potesse essere sostenuto dall’esterno dai partiti arabi.

(di Massimo Lomonaco/ANSA).