L’Iraq chiede a Roma i soldi bloccati dall’era Saddam

Un soldato iracheno con un lanciarazzi.
Un soldato iracheno con un lanciarazzi. EPA/ALAA AL-SHEMAREE

ROMA. – L’Iraq reclama le armi acquistate dall’Italia negli anni di Saddam Hussein e mai ricevute. Oppure, visto il tempo trascorso, i soldi con cui furono pagate all’epoca: 60 milioni di euro più gli interessi maturati, congelati nelle banche italiane dall’embargo del 1991, ai quali si aggiungono altri 30 milioni in conti correnti intestati all’ambasciata irachena a Roma e ad altri funzionari.

“É un problema legato passato, ma recuperarli è un nostro diritto”, ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein, incontrando i giornalisti nel corso di una visita a Roma e lasciando intendere che una soluzione della questione sia propedeutica all’avvio di nuovi accordi commerciali con l’Italia. “Ci sono trattative in corso – ha sottolineato il vicepremier – e il ministro Di Maio si è impegnato a far avanzare la questione”.

Era il 1990 quando il regime iracheno invase il Kuwait provocando la prima Guerra del Golfo e portando la comunità internazionale a imporre l’embargo su Baghdad: quelle sanzioni congelarono anche i contratti per armi e forniture, firmati e già pagati da Saddam, con Leonardo (allora Finmeccanica) e Fincantieri.

“L’Iraq le ha pagate, ma non le ha mai ricevute”, ha aggiunto il vicepremier che a Roma ha incontrato il titolare della Farnesina e i presidenti di Camera e Senato, ed è stato ricevuto dal Papa in Vaticano dopo “la sua storica visita” in Iraq lo scorso marzo.

“Dopo il 2003 l’embargo che aveva colpito il regime di Saddam Hussein è stato tolto e l’Iraq è tornato a essere un Paese sovrano: quei soldi appartengono all’Iraq”, ha spiegato ancora l’ambasciatrice irachena in Italia, Safia Taleb al Souhail.

“Una causa legale durerebbe altri decenni, per sbloccare la situazione ci vuole una decisione politica”, hanno fatto sapere fonti diplomatiche all’ANSA. E in effetti, a quanto ha riferito Hussein, le autorità italiane non si sono mostrate sorde alla richiesta irachena di risolvere il contenzioso una volta per tutte. Resta da chiarire, ha precisato il vicepremier, se le trattative verteranno sul recupero delle armi acquistate 30 anni fa – e probabilmente già superate – o delle somme di denaro ferme nelle banche italiane.

L’Iraq intanto, vinta la guerra all’Isis “anche grazie al contributo dell’Italia” e nonostante “ci siano ancora delle cellule attive”, tenta di diversificare la sua economia, basata al 90% sui proventi del petrolio, e si apre agli investimenti stranieri: “Abbiamo bisogno di industrie petrolchimiche, di strade, di ponti, di dighe, di elettricità. Ci sono ampie possibilità di investimento in Iraq. É un’economia promettente e rivolta al futuro”, ha assicurato il numero due del governo di Mustafa al-Kadhimi. “Ma il nostro settore privato è fragile e le aziende italiane – ha concluso – possono giocare un ruolo in questo senso”.

(di Laurence Figà-Talamanca/ANSA).