L’India travolta dal virus, ospedali senza ossigeno

Un dottore indiano coperto con indumentaria protettiva para a bambini nel centro di attenzione del Covid-19 Hospital in un ospedale a Nuova Delhi.
Un dottore indiano coperto con indumenti protettivi con dei bambini nel centro di attenzione del Covid-19 in un ospedale a Nuova Delhi. EPA//HARISH TYAGI

ROMA.  – Travolta da una seconda micidiale ondata di Covid-19, l’India ha sfiorato i 315 mila nuovi contagi e superato i 2 mila morti in 24 ore, una cifra che finora non era mai stata toccata in nessun angolo del mondo e che porta il paese ad un totale di 15,9 milioni di infezioni dall’inizio della pandemia.

Sono bastate un paio di settimane, con casi di infezione in crescita esponenziale, a far tracollare il sistema sanitario indiano: gli ospedali e le cliniche private a New Delhi ma anche nell’altra megalopoli Mumbai, sono sovraffollati, i posti letto e le terapie intensive al completo, il personale medico è allo stremo e fuori dalle cliniche stazionano file interminabili di ambulanze auto, risciò e veicoli privati, con ammalati in affanno che sperano di essere ammessi in corsia.

A rendere ingestibile la situazione pesa anche l’allarmante carenza di ossigeno e medicinali, reperibili ormai quasi esclusivamente sul mercato nero. I gruppi di WhatsApp sono inondati di disperate richieste di aiuto.  L’agenzia Pti riferisce di una vera e propria guerra in corso tra gli stati, che si contendono le riserve di ossigeno arrivate agli sgoccioli.

L’amministrazione di Delhi ha chiesto al governo centrale di aumentare la quota stabilita dalla legge mentre lo stato del Maharashtra lamenta che le 1.250 tonnellate metriche prodotte localmente al giorno non bastano e chiede che almeno altre 300 arrivino dagli stati confinanti. La stampa locale riporta che la produzione dei principali farmaci per il coronavirus si è rallentata o addirittura interrotta in alcune fabbriche e ci sono stati ritardi nell’invito a presentare offerte per impianti di generazione di ossigeno.

C’è anche un’altra parte di Asia che in queste ore è messa con le spalle al muro dal virus: il Giappone, a soli tre mesi dall’iconico appuntamento con le Olimpiadi, il Paese del Sol Levante si appresta a dichiarare un nuovo stato di emergenza – il terzo dall’inizio della pandemia – in due dei principali centri urbani dell’arcipelago, Tokyo e Osaka.

E come se non bastasse, pesa come un macigno la notizia della prima infezione tra i tedofori della staffetta della torcia. Si tratta di un trentenne che aveva preso parte alla staffetta nell’isola occidentale di Shikoku. Gli organizzatori dei Giochi si sono impegnati a collaborare con le autorità mediche per “prendere le precauzioni necessarie per mettere in sicurezza” il camino della torcia ed insistono sul fatto che la staffetta, che coinvolge circa 10.000 corridori che attraversano tutte le 47 prefetture giapponesi, possa essere tenuta in sicurezza sotto rigorose linee guida antivirus.

In Giappone sono state segnalate oltre 5.200 infezioni, una cifra che non si vedeva da fine gennaio, mentre la campagna vaccinale tentenna a decollare. Finora ha riguardato appena l’1% della popolazione. A fare paura sono le varianti. I dati del ministero della Salute confermano che l’80% delle nuove infezioni a Osaka sono attribuibili, in prevalenza alla variante inglese, con 1.562 casi in tutto il Giappone.

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