Rivolta a Rebibbia sulle misure anti-Covid, 46 detenuti a giudizio

Un agente di Polizia Penitenziaria con il drone, al termine del volo effettuato sul perimetro della Casa circondariale di Rebibbia, in previsione di una protesta dei familiari dei reclusi a Roma, 16 aprile 2020.
Un agente di Polizia Penitenziaria con il drone, al termine del volo effettuato sul perimetro della Casa circondariale di Rebibbia, in previsione di una protesta dei familiari dei reclusi a Roma, 16 aprile 2020. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

ROMA. – Nel marzo dello scorso anno, nel corso del primo drammatico lockdown per il Covid, furono protagonisti di una vera e propria rivolta nel carcere di Rebibbia. Tafferugli scatenati all’interno del penitenziario romano, così come in altre case circondariali in Italia, per protestare contro le misure disposte dal governo per contenere la diffusione del coronavirus.

Per questa vicenda 46 detenuti sono stati rinviati a giudizio e altri quattro hanno deciso di essere giudicati con il rito abbreviato. Lo ha deciso il gup di Roma accogliendo l’impianto accusatorio della Procura. Il processo è stato fissato al prossimo 30 giugno.

Nei loro confronti i pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini contestano, a vario titolo, i reati di danneggiamento, sequestro di persona, rapina e devastazione. In base a quanto accertato dalla polizia Penitenziaria, la sommossa è scoppiata prima nel reparto G11 per poi estendersi ad altri settori del complesso penitenziario.

Per questi fatti, il 24 novembre scorso, sono state emesse nove misure cautelari in carcere nei confronti di alcuni detenuti coinvolti nelle rivolte. Durante gli scontri un ispettore rimase ferito con una prognosi di 40 giorni. Dalle indagini, svolte dalla polizia penitenziaria e coordinate dalla Procura di Roma, è emerso il ruolo di quattro detenuti come promotori: dopo aver aggredito personale della polizia penitenziaria erano riusciti ad impadronirsi delle chiavi dei cancelli “filtro” così da permettere ai detenuti degli altri reparti di uscire e unirsi alla protesta.

Le indagini, inoltre, hanno accertato l’inesistenza di collegamenti o di una regia comune dietro agli episodi di violenza avvenuti in contemporanea in altre carceri come Milano, Modena e Palermo. Dodici mesi fa, infatti, le proteste riguardarono numerose case circondariali. Detenuti salirono sui tetti delle strutture, diedero alle fiamme suppellettili e presero d’assalto anche le infermerie. Le violenze, che riguardarono 22 istituti, durarono alcune ore e al termine il bilancio fu drammatico anche per i sette reclusi morti per overdose di psicofarmaci, medicinali rubati durante i blitz.

Alla luce di questi eventi il capo della polizia Franco Gabrielli ha inviato una circolare a prefetti e questori con cui si definiscono le linee guida per la pianificazione degli interventi con l’obiettivo di una gestione più efficace di questi episodi attraverso il coinvolgimento di forze dell’ordine, polizie locali e forze armate.

I prefetti sono invitati a convocare appositi Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica con la presenza del direttore del carcere e del comandante del Reparto di polizia penitenziaria di ciascuno degli istituti penitenziari presenti sul territorio. La Direzione investigativa antimafia fornirà notizie utili alla stesura del piano. Il Comitato dovrà pianificare le misure da attuare esternamente al carcere.

Dovrà essere previsto il numero di forze di polizia da impiegare in base allo scenario di rischio. L’intervento all’interno dell’istituto, sottolinea la circolare, “+ di natura assolutamente eccezionale e pertanto connesso con il verificarsi di eventi non ordinari”.

(di Marco Maffettone/ANSA)

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