“L’America chiede giustizia”, via al processo Floyd

Famiglia Floyd si inginocchia per ricordare la morte di George.
Famiglia Floyd si inginocchia per ricordare la morte di George. (ANSA)

WASHINGTON. – “L’America chiede giustizia, il mondo intero ci sta guardando”. La famiglia di George Floyd, il 46enne afroamericano ucciso da un ex agente di polizia il 5 maggio 2020 e divenuto il simbolo del movimento Black Lives Matter, non vuole vendetta.

Reclama semplicemente il diritto di veder condannato l’uomo che non ha avuto pietà nel soffocare un essere umano inerme e disarmato. Un gigante fragile Big Floyd, alto quasi due metri: mentre il ginocchio dell’agente premuto sul collo gli toglieva per sempre il respiro, almeno 20 volte ha implorato invano “I can’t breath”, non riesco a respirare.

Otto minuti e 46 secondi terribili e interminabili che l’accusa non mesita a paragonare a una tortura, e le cui immagini shock girate mdai passanti hanno aperto il processo nell’aula del tribunale di mMinneapolis.

Derek Chauvin, l’ex poliziotto trasformatosi nel carnefice di Floyd, è seduto sul banco degli imputati, sguardo rivolto verso il basso, il viso coperto in parte dalla mascherina. Su di lui gli occhi di milioni di americani incollati allo schermo, mentre la Casa Bianca fa sapere che anche il presidente Joe Biden seguirà il processo con molta attenzione.

L’avvocato dell’ex poliziotto incriminato parla da dietro un vetro di plexiglas, per scongiurare il peggio in una situazione in cui la tensione è alle stelle, con un’intera città blindata e pronta ad esplodere, e decine di proteste in diverse metropoli americane, da New York a Los Angeles, da Denver a Chicago. “Dobbiamo giudicare i fatti, in questo processo la politica va messa da parte”, è l’appello ai giurati lanciato dalla difesa.

Per quest’ultima Floyd era sotto l’influenza di sostanze stupefacenti quando fu fermato dalla polizia, chiamata da un commerciante secondo cui George aveva tentato di acquistare un pacchetto di sigarette con una banconota falsa da 20 dollari.

Per almeno due volte si sarebbe rifiutato di ridare indietro le sigarette. La difesa contesta inoltre che la causa della norte di Floyd non sia stata la mossa di Chauvin per bloccarlo a terra, ma gli effetti delle sostanze assunte su un fisico già compromesso da diverse patologie.

Anche se dal referto del medico legale sia emerso come il decesso sia avvenuto per masfissia. E anche se dalle immagini si vede chiaramente come Floyd cominci a sanguinare dal naso e dalla bocca a causa della pressione sul collo, mentre Chauvin, con le mani in tasca e gli occhiali da sole sul capo, non molli la presa nemmeno un istante, nonostante le urla dei testimoni: “Fallo respirare! Lo stai uccidendo!”.

“Questo non è il processo a Floyd, è il processo all’agente Chauvin”, la replica dell’accusa. “Non è un caso difficile da giudicare. Nessuno chiamerebbe questo un caso difficile se la vittima fosse stata bianca”, denunciano gli avvocati della famiglia della vittima, secondo cui il processo è “un vero e proprio referendum sulla giustizia americana”, per vedere se negli Stati Uniti possano essere garantiti “giustizia e uguaglianza per tutti”.

“L’America ha ora un’opportunità. Questo è un momento decisivo per la storia del nostro Paese – afferma il team di legali che rappresenta la famiglia Floyd – per dimostrare che tutti hanno gli stessi diritti costituzionali.

Questo è il momento di dimostrare al resto del mondo che l’America non abdica ai suoi ideali e non si tira indietro quando si tratta di libertà e di giustizia”. Tra i presenti al processo il fratello di Floyd, Terrence: “Meritiamo giustizia”, dice trattenendo a stento le lacrime.

Mentre il reverendo Al Sharpton, uno dei massimi leader della comunità afroamericana, chiede a gran voce che il Congresso approvi definitivamente la riforma della polizia federale che porta proprio il nome di George Floyd.

(di Ugo Caltagirone/ANSA).

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