Eni: gruppo patteggia per caso Congo e versa 11 milioni

Il logo dell'Eni.
Il logo dell'Eni.

MILANO. – Eni esce dal caso Congo e lo fa patteggiando oggi a Milano una sanzione di 800mila euro e un risarcimento di 11 milioni di euro concordati col pm Paolo Storari, dopo la riqualificazione del reato al centro dell’indagine da corruzione internazionale in induzione indebita internazionale e la conseguente revoca della richiesta di misura interdittiva per la compagnia petrolifera.

Ad accogliere la proposta avanzata dal gruppo, tramite i suoi avvocati Nadia Alecci e Nerio Diodà, è stato stamane il gip Sofia Fioretta in un’udienza lampo in cui ha in sostanza letto solo il dispositivo.

L’istanza di applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dalla norma sulla responsabilità amministrativa degli enti, è stata trasmessa al giudice una settimana fa, il giorno dopo l’assoluzione con formula piena da parte del Tribunale milanese del colosso italiano, di Shell e di altre 14 persone, compreso l’ad Eni Claudio Descalzi e alcuni ex manager ed ex dirigenti anche olandesi, nel processo sulla vicenda della presunta tangente pagata in Nigeria, ipotizzata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro. Assoluzione che, va registrato, sta creando non poche tensioni all’interno del Palazzo di Giustizia milanese.

Eni in una nota “ribadisce la propria soddisfazione per la conferma da parte della Procura dell’inesistenza, anche in questo caso, di ipotesi di reato di corruzione internazionale”, derubricato lo scorso 17 marzo.

La multinazionale ricorda “ancora una volta come l’esito odierno non rappresenti un’ammissione di inadeguatezza dei propri modelli o colpevolezza da parte della società rispetto al reato contestato, ma un’iniziativa tesa esclusivamente a evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio non recuperabile di costi e risorse”.

Con la mossa di oggi, e dopo essere stata scagionata per le vicende nigeriana e algerina (qui il giudizio è definitivo), la compagnia petrolifera italiana archivia anche il procedimento congolese e volta pagina per dedicarsi alle sue attività nel campo dell’energia.

C’è da rilevare, inoltre, come il nuovo reato ipotizzato cambi il quadro dell’inchiesta nella quale risultano indagate ora cinque persone, tra cui l’ex capo in Eni dell’area subsahariana Roberto Casula (assolto la settimana scorsa), Maria Paduano, ritenuta prestanome di Casula, Ernest Olufemi Akinmade, ex dirigente di Agip in Nigeria, un altro ex dirigente Agip, Andrea Pulcini, e l’uomo d’affari e presunto intermediario Alexander Haly.

Non si tratta più di una corruzione internazionale, come inizialmente contestato, ma di una presunta induzione indebita in base alla quale pubblici ufficiali dell’ex colonia francese avrebbero costretto, per concedere il rinnovo delle concessioni petrolifere nei pozzi congolesi “Marine VI e VII”, il management operativo di Eni in zona a versare il “fee” richiesto, ossia a consentire di accedere alle licenze con quote azionarie alla congolese AOGC-Africa Oil & Gas Corporation di Denis Gokana, consigliere del presidente congolese Sassou Nguesso.

Non si esclude, infine, che anche altri indagati più avanti seguano la strada del patteggiamento ed è probabile che per uno arrivi pure una richiesta di archiviazione.

(di Francesca Brunati e Igor Greganti/ANSA).

Lascia un commento