Israele al 4/o voto in 2 anni, nessuno ha la maggioranza

L' ex primo ministro d'Israele Benjamin Netanyahu parla in una conferenza nel kibbutz Kiryat Anavim, vicino Gerusalemme. (ANSA- EPA/ABIR SULTAN)
L' ex primo ministro d'Israele Benjamin Netanyahu parla in una conferenza nel kibbutz Kiryat Anavim, vicino Gerusalemme. Archivio.(ANSA- EPA/ABIR SULTAN)

TEL AVIV. – Ad una settimana esatta dal voto del 23 marzo in Israele – il quarto in poco più di 2 anni e il secondo in epoca Covid – i sondaggi fotografano una situazione di stallo.

Chi cercasse un vincitore netto nella “VacciNation” – come è stata ridefinita Israele visto il travolgente successo della campagna vaccinale – deve rassegnarsi: ad oggi non sembra esserci. Né nella coalizione di destra guidata da Benyamin Netanyahu né in quella – assai eterogenea – contro il premier. Tutto, se i sondaggi si rivelassero azzeccati, si giocherà dopo il voto.

A quel punto tutti gli occhi saranno puntati ancora una volta sulle mosse di Naftali Bennet, leader nazionalista religioso ex alleato di Netanyahu, e del piccolo partito arabo dissidente di Mansur Abbas “Raam”. Una situazione così confusa da far lanciare l’allarme allo stesso presidente Reuven Rivlin, stremato – come tutti gli israeliani – da quattro voti e da una campagna elettorale continua.

“Non possiamo permettere ai politici – ha ammonito – di restare ad un gioco a somma zero. Nessuno conosce il risultato venturo, ma una cosa è chiara: bisogna tornare ad una politica di compromessi, il che significa senso dello stato e partnership, rispettando il popolo intero”.

I numeri espressi dai sondaggi (l’ultimo è di Canale 13) evidenziano l’incertezza: a Netanyahu vengono attribuiti 28 seggi; 20 al centrista Lapid; 11 a Bennett; 9 a Saar; 8 alla Lista Araba; 7 a Lieberman; 13 ai Partiti religiosi; 6 ai Laburisti; 6 ai Religiosi sionisti; 4 a Gantz, 4 a Meretz e 4 ad Abbas. Il fronte pro Netanyahu avrebbe così in totale 47 seggi, quello anti-premier 58 (compresa la Lista Araba), i non allineati (Bennett e Abbas) 15.

Un groviglio difficile da sciogliere: sia per Netanyahu – che dovrebbe convincere Bennett e Abbas per arrivare a 62 seggi, uno in più dei 61 su 120 necessari alla Knesset. Sia per l’altro fronte, dove toccherebbe a Yair Lapid accordarsi con Bennett senza perdere per strada il sostegno di leader molto diversi tra loro come Benny Gantz, Gideon Saar e Avigdor Lieberman.

Non a caso alcuni analisti hanno cominciato a pensare che una soluzione potrebbe essere individuata in una premiership alternata tra Lapid e Bennett. Ma l’esperienza simile appena fallita tra Netanyahu e Gantz non depone a favore.

Fatto sta che se Bennett – destra religiosa – ci tiene a lasciarsi ancora le mani libere, Lapid – ex volto noto della tv e figlio della nomenclatura liberal del paese – non fa mistero di puntare al comando. “É tempo di un cambio generazionale in Israele. Io – ha detto al Jerusalem Post – sono pronto, il partito è pronto: abbiamo piani e capacità giuste. Ho già servito in varie posizioni che mi hanno preparato a questo”. Poi ha evitato con cura di fare del voto una scelta secca tra lui e Netanyahu: “é il premier che vuole questo…”.

(di Massimo Lomonaco/ANSA)

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