TARANTO. – Il pericolo legato alle emissioni del Siderurgico che i giudici del Tar di Lecce definivano “permanente ed immanente” per il Consiglio di Stato resulta “meramente ipotetico”, mentre il pregiudizio “consistente nell’irrimediabile deperimento degli impianti” in caso di spegnimento, sollevato da ArcelorMittal, si profila “come attuale ed irreparabile”.
I giudici di Palazzo Spada hanno così deciso di accogliere il ricorso della multinazionale che gestisce lo stabilimento siderurgico di Taranto e l’appello incidentale di Ilva in As, proprietaria degli impianti, sospendendo l’esecutività della sentenza del 13 febbraio scorso del Tar di Lecce.
Un provvedimento che aveva fatto ripartire il termine di 60 giorni per l’esecuzione dell’ordinanza del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci (datata 27 febbraio 2020) di chiusura degli impianti dell’area a caldo a causa delle criticità ambientali e del rischio sanitario. In base alla pronuncia del Tar, ArcerlorMittal avrebbe dovuto fermare gli impianti considerati inquinanti entro il prossimo 14 aprile.
Ora il conto alla rovescia si ferma almeno fino all’udienza di merito fissata per il 13 maggio prossimo. Una decisione accolta “con rispetto” dal ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, convinto però che “la soluzione della crisi non possa passare dalle Aule di tribunale”. Questa pronuncia “dà comunque – afferma – la possibilità e il tempo alla politica e al Mise in particolare di cercare la soluzione per gli operai, l’azienda e la produzione siderurgica italiana che rappresenta un asset strategico oltre che un’eccellenza e va tutelata”.
L’ ordinanza del sindaco era stata firmata in seguito ad “eventi emissivi verificatisi nell’agosto del 2019, connessi ad alcune criticità del sistema di depolverizzazione del camino E312” e della emissione di sostanze odorigene nel febbraio 2020.
La Quarta sezione del Consiglio di Stato (presidente Raffaele Greco, estensore Michele Conforti) rileva che “dalla delibazione degli scritti e degli atti processuali emergono evidenti profili di danno per gli impianti dello stabilimento siderurgico, in caso di mancata emanazione della misura cautelare domandata, derivanti dallo spegnimento della cosiddetta area a caldo, probabilmente irreversibile, una volta effettuato”.
Al contrario, i rischi per la salute pubblica sono connessi alla possibilità del ripetersi di episodi futuri ed eventuali.
Oltre ad evidenziare il “rispetto delle prescrizioni Aia” e il rischio di “distruzione dell’asset aziendale”, i legali di ArcelorMittal avevano evidenziato il problema occupazionale e le ripercussioni che la chiusura degli impianti avrebbe sulla filiera siderurgica.
I giudici precisano tuttavia che resta “impregiudicato il più approfondito scrutinio delle delicate questioni di fatto e di diritto sottese alle doglianze articolate dalle parti”. Dura la reazione del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, per il quale “l’unica certezza è che noi fermeremo l’area a caldo dello stabilimento siderurgico, con ogni mezzo possibile”.
Intanto, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa bacchetta il governo italiano, deplorando “la mancanza di informazioni” chieste un anno fa sull’attuazione effettiva, e nel più breve tempo possibile, del piano ambientale elaborato per garantire che il funzionamento attuale e futuro dell’ex Ilva non continui a mettere a rischio la salute dei residenti e l’ambiente.
É quanto emerso dopo che in questa settimana è stato valutato dall’organo esecutivo quanto fatto dall’Italia dopo essere stata condannata il 24 gennaio 2019 dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu) di Strasburgo “per non aver preso le misure necessarie a proteggere i residenti” dalle emissioni dello stabilimento Ilva. Il Comitato intima adesso alle autorità di inviare “tutte le informazioni richieste entro il 30 giugno”.
( di Giacomo Rizzo/ ANSA)