Il governo Draghi incassa la fiducia al Senato, 262 sì e 40 no

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi saluta all'uscita del Senato dopo le dichiarazioni per la fiducia.
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi

ROMA. – Fiducia larga con 262 sì, 101 in più rispetto a quelli che basterebbero per avere la maggioranza politica, e 40 voti contrari per il nuovo governo Draghi in Senato. Solo due gli astenuti. Quella su cui può contare l’ex presidente della Bce è una maggioranza molto ampia ma che, a Palazzo Madama, non supera il record dell’Esecutivo Monti pari a 281 voti favorevoli.

A schierarsi contro, oltre i 19 parlamentari di Fdi, sono quindici senatori 5s. Altri 8 cinquestelle non hanno partecipato alla votazione ma due risultano assenti giustificati. Il capogruppo del Movimento a Palazzo Madama Licheri avverte comunque che quella targata 5s non è una fiducia incondizionata: “Non dia mai per scontato il nostro sì perché noi, mi permetta questa licenza verbale, le romperemo le scatole”, dichiara in Aula.

“L’unità non è un’opzione, è un dovere”. Richiama al senso di “responsabilità nazionale” Mario Draghi nel suo intervento programmatico alle Camere: non un esecutivo tecnico o del presidente, il suo è il “governo del Paese” e ha il compito di avviare una “Nuova ricostruzione”.

Parla 53 minuti e all’inizio di un discorso denso dichiara un’emozione che si fa sentire quando cita, sbagliando le cifre, i dati della pandemia. L’euro come scelta “irreversibile”, lo sguardo rivolto al futuro e ai giovani, la lotta al virus, l’ambiente (che si lavora per mettere in Costituzione), sono alcuni tra i temi fondanti del discorso.

L’ex presidente della Bce pone come ancoraggio, in politica estera, l’Europa e l’Alleanza Atlantica. Con la Russia e la Cina la porta del dialogo resta aperta ma Draghi mette sul tavolo le “preoccupazioni” per il mancato rispetto dei diritti umani.

Sono 21 gli applausi che i senatori tributano al nuovo presidente del Consiglio. La politica ascolta e quasi unanime plaude, per le polemiche ci saranno altri giorni: Berlusconi invita a guardare al “minimo comune denominatore” fra le forze che sostengono il governo, Zingaretti in una dichiarazione stringata si dice convinto che “l’Italia si trovi in buone mani”.

Draghi prova a rassicurare: la collaborazione a cui sono chiamati non è destinata a scolorire le identità di ciascun partito ma è interpretazione dello spirito di servizio. Accanto al premier, alla sua destra, siede il ministro leghista Giancarlo Giorgetti: è a lui che si rivolge con lo sguardo quando tentenna per un attimo sui numeri della pandemia.

Draghi perimetra però chiaramente l’azione del suo esecutivo: a Salvini che ha attaccato l’euro, dice senza giri di parole che quella è “una scelta irreversibile”. Ma non solo. L’ancoraggio all’Europa è una necessità per l’ex presidente della Bce: “Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo – dice in uno dei passaggi più articolati del suo intervento – nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”.

L’Aula apprezza, il Capitano meno e infatti rimane a braccia conserte mentre in molti battono le mani. E sulla moneta unica taglia corto “Non è di attualità”, replica. Si attira anche qualche ‘buuh’ dai banchi del centrodestra Draghi: accade quando ringrazia Conte. Ma il premier senza dare l’impressione di voler azzerare quanto fatto dal predecessore dalla lotta al virus, al Recovery segna però parecchie discontinuità.

Nell’Italia di Draghi non c’è posto per i gazebo a forma di primula immaginati dal commissario Arcuri: sui vaccini è necessario correre, va usato ogni spazio e ogni forza a disposizione per battere il virus “nemico di tutti”. La scuola deve riaprire, i giovani – a cui Draghi riserva ampio spazio – hanno il diritto di recuperare il tempo perso.

Come insegna Cavour, avverte però il premier, l’imporsi dell’emergenza non esclude la necessità di fare le riforme. Pubblica amministrazione, giustizia civile e fisco sono in cima alla lista. E poi il Recovery. I 210 miliardi a disposizione sono un’occasione da non perdere e su questo concordano da sempre tutti. Ma come renderli davvero utilizzabili è la domanda a cui è più difficile rispondere.

La governance – elemento scatenante della crisi del Conte II – sarà nelle mani del ministero dell’Economia, in raccordo con i colleghi. Il Parlamento, che ha ora all’esame l’ultima bozza messa a punto dal precedente esecutivo e che è invitato a fare in fretta, “verrà costantemente informato”, dice nel suo intervento Draghi.

Deputati e senatori però non hanno alcuna intenzione di fare da ‘passacarte’ e anche se non è ancora il momento dei distinguo l’allarme per il rischio di vedersi esautorati è scattato. E così nella replica il premier parte proprio da qui: “Voglio ribadire quanto considero cruciale la funzione e il lavoro delle Camere, in particolare per quanto riguarda il programma di Ripresa e resilienza”.

(di Chiara Scalise/ANSA)

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