Addio Marini, rude sindacalista alla soglia del Colle

Il presidente del Senato, Franco Marini, lascia lo studio alla Vetrata dopo il colloquio con il Presidente della Repubblica al Quirinale
Il presidente del Senato, Franco Marini, lascia lo studio alla Vetrata dopo il colloquio con il Presidente della Repubblica al Quirinale il 5 febbraio 2008. ANSA/ALESSANDRO DI MEO/DRN/DIB

ROMA. – Quando Franco Marini, ai tempi della Bicamerale sulle riforme, fu invitato a cena da Silvio Berlusconi, ricevette la domanda su quale fosse il suo piatto preferito da far preparare al cuoco personale del Cavaliere: la risposta fu “la frittata con le cipolle”.

L’episodio sintetizza il personaggio Marini, che amava ostentare ruvidezza dietro alla quale tuttavia non celava la disponibilità al confronto, anche con l’avversario politico o sindacale. Una rudezza ereditata dalla propria terra a cui Marini era attaccatissimo, l’Abruzzo interno di San Pio alle Camere, lungo il tratturo L’Aquila-Foggia, dove tutto va strappato alla natura ma dove, per poter sopravvivere, occorre saper collaborare.

Due tratti tipici anche degli Alpini, in cui Marini orgogliosamente fece il suo servizio militare. Ed il cappello con la penna nera assieme all’immancabile pipa, erano gli oggetti a cui era più attaccato. Nato il 9 aprile del 1933 da una famiglia operaia, Marini si iscrisse da ragazzo all’Azione cattolica e a 17 anni alle Acli e alla Dc.

Mentre ancora studiava giurisprudenza, cominciò a collaborare con la Cisl, fondata nel 1950 dopo la scissione dalla Cgil, dentro la quale iniziò a lavorare dopo la laurea. Allievo prediletto di Giulio Pastore, ne seguì l’impostazione difendendo l’autonomia del sindacato cattolico dalla Dc, che pretendeva la pura subordinazione. Ciò non gli impedì, negli Anni Settanta e Ottanta, di contrastare la corrente interna filosocialista, che in altri movimenti cattolici come le Acli si stava imponendo sulla spinta del movimento Cattolici per il socialismo.

Nel 1965 Bruno Storti lo chiamò a guidare la Federazione dei Dipendenti pubblici, e di lì assunse via via incarichi sempre maggiori fino a diventare Segretario generale nel 1985. Il referendum sulla Scala Mobile aveva visto su fronti contrapposti la Cgil e la Cisl, che aveva difeso l’accordo di San Valentino. A Marini toccò quindi la guida in un periodo non semplice, per ricostruire l’unità sindacale, mettendo in mostra le sue doti di negoziatore ruvido, ma anche attento e flessibile.

Nell’aprile 1991 il ritorno alla politica. Alla morte di Carlo Donat Cattin, lo sostituisce al Ministero del Lavoro, nel governo Andreotti e nel 1992, viene eletto per la prima volta in Parlamento. Nel 1994 segue Martinazzoli nel Ppi, e dopo la scissione a destra di Buttiglione, si schiera con Gerardo Bianco per mantenere il partito nel centrosinistra, appoggiando nel 1996 la nascita dell’Ulivo di Prodi.

Inizia allora uno dei periodi più complessi. Marini, è eletto segretario del Ppi e, in asse con D’Alema, difende la visione dell’Ulivo come alleanza tra il centro e la sinistra, scontrandosi con Prodi che invece mirava ad un unico partito dei riformisti. Alla caduta del governo Prodi il 9 ottobre 1998 si oppone ad urne anticipate, chieste dal Professore, e promuove la nascita del governo D’Alema.

Il 1999 è l'”annus horribilis” per Marini: al momento di eleggere il Presidente della Repubblica, salta l’intesa che aveva portato D’Alema a Palazzo Chigi e che avrebbe dovuto condurre un popolare al Quirinale (lo stesso Marini o Nicola Mancino): infatti Walter Veltroni tira fuori dal cilindro Carlo Azeglio Ciampi. Inoltre Prodi fonda l’Asinello lanciando la “competition” a Ds e Ppi, che alle elezioni europee ottiene uno striminzito 4%.

A settembre lascia la segreteria del partito a Pierluigi Castagnetti che capovolge l’impostazione di Marini, dando vita nel 2001 alla Margherita, con Ri e l’Asinello. Il nuovo leader Francesco Rutelli, chiama all’organizzazione Marini, che aderisce al nuovo corso. Nel 2006 il centrosinistra vince le elezioni e Marini viene eletto alla presidenza del Senato. Da qui benedirà la nascita del Pd di Veltroni.

Nell’aprile 2013 il segretario Dem Pierluigi Bersani lo candida alla successione di Giorgio Napolitano, ma Renzi si schiera pubblicamente contro la sua candidatura, che non passa alla prima votazione provocando la sua rinuncia ufficiale. Dopo Marini sarà silurata anche la candidatura di Romano Prodi. Marini lascia la politica attiva: il suo ultimo impegno è nel Comitato per le celebrazioni della Prima Guerra Mondiale, l’ultimo atto di amore ai suoi alpini.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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