Birmania: il regime inizia a sparare sui manifestanti

Soldati a Yangon City.
Soldati a Yangon City. (ANSA)

BANGKOK, 9 FEB – Dopo le minacce del regime golpista, oggi in Birmania si è cominciato ad usare la forza. Nella capitale Naypyidaw, la polizia ha cercato di disperdere migliaia di manifestanti con idranti e proiettili di gomma causando feriti, tra cui una ragazza in condizioni critiche.

Con gli assembramenti di oltre cinque persone ormai fuori legge e un coprifuoco notturno anche a Yangon e Mandalay, è chiaro che la giunta militare sta perdendo la pazienza di fronte a una reazione popolare che non accenna a placarsi.

Le scene più violente si sono viste in mattinata a Naypyidaw, la capitale costruita negli ultimi anni della dittatura su scala talmente vasta da rendere impossibili assembramenti intorno ai palazzi del potere. Vista l’inutilità degli idranti già usati ieri per disperdere la protesta, la polizia è passata ai proiettili di gomma.

Ma una ragazza di 19 anni è ricoverata in gravissime condizioni dopo essere stata raggiunta da un proiettile vero, sparato – si vede in un video rilanciato sui social media – mentre era lontana centinaia di metri dai poliziotti. In un altro video, girato a Mandalay, si vede la polizia sparare in aria per intimidire la folla. Azioni brevi e isolate, non una repressione con la forza su larga scala: ma chiari segnali che gli animi si sono surriscaldati.

Il ferimento della donna ha provocato un’ondata di condanne sui social media, dove ora i toni dei simpatizzanti della protesta sono oggi meno di derisione e più di rabbia verso i militari, con hashtag di appelli al mondo come “Ascoltate la nostra voce”.

É chiaro che il messaggio in tv ieri sera del generale golpista Min Aung Hlaing non ha calmato gli animi, anzi: il Paese si sta avvicinando di fatto allo sciopero generale contro il golpe, con diverse categorie professionali – medici, ingegneri, avvocati – che partecipano compatte alla protesta. Sui social media sono state diffuse immagini anche di almeno cinque poliziotti che passano dalla parte dei manifestanti.

Impossibile prevedere le mosse successive di un esercito abituato a comandare da oltre mezzo secolo e con una smisurata visione di sé come garante dell’unità nazionale. Una protesta partita in sordina sui social network è diventata ora un movimento nazionale che respinge il ritorno al passato e la cancellazione del trionfo elettorale della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi.

Di certo i militari finora non hanno mostrato l’intenzione di dare ascolto alle condanne internazionali né di accettare un dialogo: gli Stati Uniti si sono visti respingere la richiesta di parlare con Suu Kyi, detenuta assieme ad altri 160 politici e critici di spicco della società civile.

Nel frattempo le reazioni straniere diventano più decise: oggi la Nuova Zelanda ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche, e l’Onu ha condannato l’uso della forza contro i manifestanti, oltre ad invitare gli altri Paesi ad “esortare la Birmania al ritorno alla democrazia”. Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu terrà una sessione straordinaria questo venerdì.

Da più parti si iniziano a invocare sanzioni economiche, la stessa politica adottata per quasi due decenni dall’Occidente durante la dittatura. Prima che vengano prese decisioni diplomatiche, però, c’è una situazione nelle città del Paese che rischia di diventare sempre più caotica.

(di Alessandro Ursic/ANSA)

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