Crisi di Governo: squadra tecnica o politica, il nodo di Draghi

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi incontra a Montecitorio la delegazione di Gruppo Per le autonomie,
Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi incontra a Montecitorio la delegazione di Gruppo Per le autonomie, Roma, 5 febbraio 2021. (Twitter Camera dei Deputati)

ROMA. – Il sostegno della Lega a Mario Draghi scombussola i piani di una ‘maggioranza Ursula’ e rischia di cambiare l’assetto che l’ex presidente della Bce potrebbe aver avuto in mente fino ad oggi per il suo esecutivo: non più un Governo tecnico, sia pure con una forte connotazione e presenza politica, ma un Esecutivo di unità nazionale più simile a quello che fu guidato da Dini.

Dunque, ministeri tecnici, eventualmente alcuni anche spuri, con esperti d’area ma non espressione diretta dei partiti. Con questa configurazione l’asset squisitamente politico potrebbe essere compreso nella squadra dei vice e sottosegretari, con deleghe specifiche.

Obiettivo – si ragiona in ambienti politici della vecchia maggioranza – alleggerire Draghi dall’esercizio troppo gravoso del ‘bilancino’ nella formazione e conduzione del Governo. E rendere la scelta dei ministri più facile da digerire per i partiti, allontanando pericolosi veti incrociati. Eventualmente mantenendo una figura politica nel ministero che simbolizza il rapporto tra governo e camere: quello dei Rapporti con il Parlamento.

Da qui la nuova girandola di indiscrezioni sul toto-ministri: si ripresentano quindi i nomi di Marta Cartabia per la Giustizia, di tecnici come Lucrezia Reichlin, Dario Scannapieco, Daniele Franco o Luigi Federico Signorini per il Mef, anche se quest’ultimo – si sottolinea in ambienti politici – sembrerebbe più orientato a futuri ruoli apicali in Bankitalia. Senza escludere super-manager come Vittorio Colao per le questioni chiave del recovery e delle imprese.

Intanto, l’incertezza sulla data dei possibili colloqui con le parti sociali, inizialmente previsti per lunedì prossimo, potrebbe rappresentare la spia di un programma di Governo da definire con altri canoni , alla luce degli sviluppi. Dopo l’incontro con Draghi, Matteo Salvini è apparso molto determinato e ce l’ha messa tutta per descrivere il presidente della Bce come ‘uno di noi’. Ed ha rimarcato diverse convergenze con il premier incaricato (imprese, riapertura dei cantieri, nessun aumento delle tasse). Soprattutto ha smussato i toni sull’Europa, e non ha fatto accenni a Quota 100, possibile scoglio futuro.

Era decisamente più abbottonato Vito Crimi, a guida della delegazione Cinque Stelle, che pure si è soffermato su agenda green, digitale, imprese, come linee guida di una sintonia con Draghi.

La pausa del weekend servirà al premier incaricato per raccogliere le idee. Il suo obiettivo – si ragiona in ambienti parlamentari – è raccogliere una maggioranza più ampia possibile su un programma che coinvolga i partiti sui temi loro più cari, smussando gli angoli sui temi più divisivi. Ad esempio, su agenda green, digitale, spinta all’istruzione, alla formazione, all’occupazione giovanile per chiudere i gap con l’Europa, è più facile il raccordo con i 5 Stelle, magari con un tagliando del reddito di cittadinanza, la loro misura ‘bandiera’.

C’è invece tempo per affrontare scogli pericolosi come Montepaschi o la partita coi Benetton. Una delle prime emergenze, trasversale al recovery plan italiano, è costituita dal riavvio dell’attività economica, dove Draghi avrebbe gioco forte a trovare il sostegno della Lega, si rileva in ambienti economici e finanziari.

L’ex presidente della Bce punterebbe più sugli investimenti del recovery che sugli sconti fiscali, si aggiunge dagli stessi ambienti. Ma sa bene che la stagione dei ristori e degli aiuti non si chiude dall’oggi al domani. E avrebbe in mente un piano ‘forte’ per la bomba a orologeria del debito delle imprese. Lo scoglio, con una scadenza temporale a fine anno, potrebbe essere ‘Quota 100’, è la valutazione che si fa tra i partiti.

Certo, Draghi non rinuncerà al suo europeismo, al rappresentare il recovery come parte del progetto europeo. Se c’è un filo comune col Draghi che tesseva alleanze nel Consiglio Bce e nei tavoli europei e isolava la Bundesbank stringendo un asse d’acciaio con la Merkel, è che fino all’ultimo l’ex presidente della Bce tiene le carte coperte.

Ascolta, ma non si lega le mani. Conta sulla forza inerziale che ha provocato un terremoto fra i partiti, riuscendo a mobilitare una maggioranza solida. Mantenerla richiederà un programma asciutto incentrato sui cinque punti essenziali, sono convinte molte forze politiche che hanno incontrato l’incaricato durante il primo giro di consultazioni: lotta alla pandemia, emergenza vaccini, accelerazione della ripresa, coesione sociale, giovani.

(di Domenico Conti/ANSA)