Stretta in Birmania, i militari bloccano Facebook

Soldati a Yangon City.
Soldati a Yangon City. (ANSA)

BANGKOK. – La stretta dei generali birmani diventa più forte ogni giorno. Oggi, a 72 ore dal golpe che ha destituito il governo di Aung San Suu Kyi, la nuova giunta militare ha ordinato di bloccare Facebook nel Paese, facendo calare il buio su quello che di fatto è il principale mezzo di informazione e di scambio di opinioni per decine di milioni di birmani.

Un altro segnale, dopo le accuse farsa emesse ieri contro Suu Kyi, che la presa del potere sta diventando sempre più una repressione del dissenso popolare.

L’ordine agli internet provider è arrivato con un comunicato di prima mattina. Fino al 7 febbraio, “per non turbare la stabilità”, Facebook deve rimanere fuori uso: una disposizione che si estende anche a Whatsapp e Instagram, parte dell’impero di Mark Zuckerberg.

Poche ore dopo i social media erano già irraggiungibili dai 22 milioni di utenti del Paese, dove la rapida popolarità di Facebook da quando è arrivato da quelle parti l’ha fatto diventare sinonimo di internet. Resta da vedere se l’esercito farà davvero ripristinare il servizio fra tre giorni, come da suo ordine.

Dal golpe di lunedì, Facebook era stato usato per lanciare un movimento di disobbedienza civile e condividere messaggi di opposizione al golpe. Un’ondata di malcontento che chiaramente il regime teme: dipendenti statali e medici che si rifiutavano di lavorare, macchine che suonavano il clacson tutte assieme e residenti che battevano le pentole come per scacciare gli spiriti malvagi. Ora che il principale canale di dissenso online è stato soppresso, il timore è che le autorità aumentino i controlli e le pressioni su tali atti di protesta.

Ieri, l’annuncio delle accuse farsa contro Aung San Suu Kyi (importazione illegale di walkie-talkie) e il presidente Win Myint (violazione delle restrizioni per il coronavirus) aveva già fatto capire che la giunta sta preparando il terreno per un futuro senza opposizione, senza curarsi delle condanne da parte della comunità occidentale.

Entrambe le accuse comportano fino a tre anni di reclusione: specie per Suu Kyi, significherebbe essere impossibilitata a candidarsi alle elezioni che i militari hanno detto di voler organizzare alla fine dello stato di emergenza di un anno, rimpiazzando il trionfo del partito di Suu Kyi lo scorso novembre, secondo loro viziato da brogli.

Nella visione della “democrazia dalla prospera disciplina”, l’espressione ufficiale usata nella transizione dalla dittatura iniziata un decennio fa, organizzare elezioni senza Suu Kyi – come quelle del 2010 – costituirebbe un ritorno al punto zero.

(di Alessandro Ursic /ANSA)

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