Farsa Birmania, Suu Kyi incriminata per i walkie-talkie

Protesta dai balconi contro i militari a Yangon
Protesta dai balconi contro i militari a Yangon. (ANSA)

BANGKOK. – Aung San Suu Kyi arrestata per l’importazione illegale di una decina di walkie-talkie, il suo fedele presidente Win Myint detenuto per aver violato le restrizioni imposte per il coronavirus.  Due giorni dopo un golpe che già ha confuso molti, in Birmania la presa del potere dell’esercito ha assunto oggi toni farseschi con la rivelazione dei “reati” dei due più alti leader ora in detenzione.

Ma per quanto spiazzante, ciò dimostra come i militari facciano sul serio. Nel frattempo, la comunità internazionale è divisa, con la Cina che impedisce una condanna in sede Onu.

La Signora e Win Myint resteranno agli arresti domiciliari per 14 giorni, fino a metà febbraio, ha scritto su Facebook la Lega nazionale per la democrazia di Suu Kyi: i walkie-talkie incriminati sono quelli usati dal servizio di sicurezza del premio Nobel per la Pace.

Entrambe le violazioni, della legge sull’import-export per Suu Kyi e di quella sulla gestione delle catastrofi per Win Myint, comportano una pena massima di tre anni di carcere. Non si tratta delle prime accuse bizzarre rivolte a Suu Kyi: nel 2010, quando era prigioniera nella sua villa di Yangon, fu condannata per aver violato le condizioni della sua detenzione – e quindi squalificata dalle successive elezioni – semplicemente perché un americano squilibrato aveva attraversato a nuoto il lago Inya arrivando a contatto con Suu Kyi.

La decisione dell’esercito, che ufficialmente ha preso il potere per presunti massicci brogli elettorali alle elezioni di novembre stravinte dalla Lega per la democrazia, mostra come i militari non temano le reazioni internazionali. Forse anche perché sentono di avere le spalle coperte dalla Cina: secondo la Bbc, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ieri non è riuscito ad accordarsi per una dichiarazione congiunta contro il colpo di stato perché Pechino si è opposta, forte del suo diritto di veto in quanto membro permanente.

Un’accusa negata dal ministro degli Esteri cinese, ma è un fatto che le dichiarazioni di Pechino finora siano state molto tiepide e improntate alla stabilità. É vero che negli ultimi anni il governo cinese aveva intessuto buoni rapporti con Suu Kyi, ma gli interessi economici e geopolitici che ha nel Paese prevalgono nei calcoli di Pechino.

Anche se l’Occidente dovesse imporre sanzioni, ipotizzate oggi dal ministro francese degli Esteri Jean-Yves Le Drian, il loro impatto sarà per forza smorzato.

In Birmania, intanto, sta prendendo forma un nascente movimento di disobbedienza civile, lanciato ieri da alcuni medici e dipendenti pubblici che si rifiutano di lavorare per i militari e protestano contro l’arresto anche di almeno 16 critici della società civile: tra gli attivisti per i diritti umani e giornalisti birmani è diffusa la paura di essere i prossimi. I più baldanzosi disobbedienti si sono fatti ritrarre con le tre dita alzate, lo stesso gesto del film “Hunger Games” utilizzato dai manifestanti pro-democrazia in Thailandia.

Nelle strade di Yangon, alla sera gli automobilisti suonano i clacson e residenti di interi quartieri iniziano a battere le pentole dalle finestre, in un simbolico gesto per scacciare gli spiriti malvagi. Ma da come si stanno muovendo nei primi giorni dopo il golpe, non sembra che abbiano intenzione di andarsene presto.

(di Alessandro Ursic/ANSA)

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